Introduzione
Generale e Combattente. Solo a sentirle, queste parole mettono i brividi perché esse si collegano direttamente al campo di battaglia. Non tutti possono diventare dei Generali e Combattenti e nemmeno farsi chiamare tali. Per diventare un Generale o Combattente bisogna avere molto coraggio e in più bisogna anche saper agire con la testa: non sempre forza e ferocia portano alle conclusioni desiderate. Per questo motivo i Veri Generali e Combattenti possiamo contarli sulle dita di una mano.
Come in tutte le comunità vengono apprezzati e onorati i Martiri, allo stesso modo anche Generali e Combattenti hanno un posto d’onore nella storia delle comunità. Senza coraggiosi e impavidi Generali e Combattenti, diventa difficile mantenere la dignità e l’esistenza delle comunità.
Selezionare i Generali più importanti della storia italiana non è un compito facile: troppo diverse sono le condizioni in cui essi hanno vissuto e operato, opposti i parametri con cui giudicarne le imprese.
Abbiamo tentato di fare un veloce excursus storico partendo e concentrandoci sull’epoca “imperialista” per eccellenza, quella dell’Impero Romano, indubbiamente caratterizzata da una visione unica della politica e della conquista territoriale, fino ad avvicinarci alla storia contemporanea.
Come nella comunità italiana anche in quella Sikh i Generali vengono ricordati per le loro eroiche imprese e per i contributi dati alla società.
Al tempo della fondazione del Sikhismo per mano di Guru Nanak Dev Ji, l’India stava passando un momento critico, caratterizzato da aggressioni e maltrattamenti dell’essere umano. Guru Nanak Dev Ji assemblò nuovamente le popolazioni donandogli pari dignità e diritti. La gente conobbe un nuovo modo di vivere, divenne finalmente libera. Costruì una comunità che rispettava e apprezzava tutti e che tutt’ora prosegue su quella strada.
La religione Sikh procedeva infondendo pace e armonia tra le persone. Qui il povero e il ricco erano visti con gli stessi occhi. Fu proprio questa parità che creò scontentezza nelle persone di alta classe. Tali persone non accettarono questo nuovo stile di vita e con il passare degli anni si misero contro la filosofia di vita Sikh. L’Imperatore Moghul di quel tempo, Jahangir, imprigionò Guru Arjun Dev Ji che dopo atroci torture raggiunse il martirio. Guru Arjun Dev Ji, il primo martire dei Sikh, del quale abbiamo già scritto nel nostro precedente libro, “I Martiri”, accettò il volere dell’Onnipotente senza lamentela alcuna.
È opportuno ricordare che quando Guru Arjun Dev Ji, portando avanti la filosofia introdotta da Guru Nanak, scrisse il Guru Granth Sahib Ji, testo sacro dei Sikh, esso conteneva non solo le ideologie dei Guru, ma anche di filosofi e santi delle altre religioni. Egli diede gli stessi privilegi dei Guru anche a santi di religioni differenti, per sottolineare l’importanza delle ideologie.
Prima di partire per Lahore, Guru Arjun Dev consegnò il trono di Guru a Hargobind Sahib Ji. Guru Hargobind Sahib all’età di undici anni si sedette sul trono di Guru e fece molti cambiamenti: introdusse due Spade, Miri e Piri, indossò un turbante impreziosito da un asprì reale e costruì l’Akal Takhat, il trono del Senza Tempo. Il suo principale scopo era emancipare questa religione e insegnare ai credenti di proseguire sì sulla retta via, ma con una Spada in mano. Grazie alla quale essi potevano affrontare qualsiasi tipo di minaccia: “per proteggere le serre da animali selvaggi è molto importante disporre di una robusta recinzione”.
Guru Hargobind Sahib dovette anche combattere più volte contro il prepotente governo Moghul. Quattro grandi battaglie furono combattute, tutte con lo scopo di annientare la violenza e il male. Guru Hargobind Sahib rese i Sikh “Santi-Soldati” e viene anche ricordato come primo Generale Sikh che insieme alla meditazione unì la marzialità. Grazie a questi principi i Sikh affrontarono con coraggio i tempi più duri e non si arresero mai.
Proseguendo sul concetto di Miri e Piri il Decimo Guru, Guru Gobind Singh Ji, battezzò i Sikh e trasformò il popolo indiano donandogli un’identità distinta. Sradicò il concetto di caste e portò tutti allo stesso livello. Le persone che venivano sempre sottomesse ora si sentivano libere. Un popolo oppresso trovò nel Sikhismo la speranza di una realtà migliore, alla pari con tutti, “Ek pita ekas ke ham barik”, “Siamo figli di un unico Dio”, divenne un motto di vita. Persone che non avevano mai afferrato una penna, ora scrivevano la storia. Persone che non avevano nemmeno sognato la libertà, ora combattevano per conquistarla e non solo per se stessi ma anche per quelli più deboli e incapaci di lottare per averla.
Guru Gobind Singh sacrificò tutti i membri della sua famiglia. Per salvaguardare la religione Indù egli sacrificò il padre Guru Tegh Bahadur Sahib. I due figli maggiori trovarono il martirio sul campo di battaglia a Chamkaur, mentre sua madre Mata Gujri abbandonò il corpo insieme ai figli minori di soli sette e nove anni che furono murati vivi dal governatore di Sirhind. Guru Gobind Singh realizzò un sacrificio straordinario e incomparabile
.
Guru Gobind Singh era un leader e al tempo stesso un profeta, un intrepido guerriero e il più altruista di tutti. Battezzò i Sikh e successivamente ricevette da loro il battesimo, “Gobind Singh, maestro e discepolo allo stesso tempo”, recitano gli storici, una straordinaria azione per esprimere il proprio attaccamento alla comunità, al Khalsa Panth. Cancellò, seguendo le orme dei suoi predecessori, ogni tipo di disuguaglianza sociale. Cambiò radicalmente la mentalità del popolo.
“È nostro lavoro pesare merce sulla bilancia,
mai abbiamo afferrato un coltello,
un volo di passero ci spaventa,
come potremmo affrontare un nemico?”
In queste persone egli introdusse nuova verve enunciando:
“Sawa lakh se ek ladaun, tabe Gobind Singh Naam kahaun”
[Farò combattere uno solo dei miei contro più di centomila nemici,
solo allora mi definirò Gobind Singh]
Un Sikh battezzato da Guru Gobind Singh, Baba Banda Singh Bahadur, fece traballare il potere dei Moghul nel Punjab. Egli stabilì il primo dominio dei Sikh e introdusse la prima moneta Sikh in nome dei Guru. I nemici però, riuscirono, dopo innumerevoli tentativi e con grande sforzo a mettere al tappeto Banda Singh catturandolo insieme a oltre 740 prigionieri e portando a Delhi quasi 700 carri pieni di teste dei Sikh e altre 2000 teste sulle lance dei soldati Moghul.
Con la fine di Banda Singh Bahadur i Moghul enunciarono la fine dei Sikh. Enunciato che fu ben presto smentito dalle coraggiosi azioni di Sikh come Botta Singh e Garja Singh che dimostrarono ai Moghul che i Sikh erano ancora vivi. In questo modo i Sikh ripresero forza e si riorganizzarono cambiando nuovamente il corso della storia e stabilendo ancora una volta il dominio del Khalsa.
Dominio che fu ottenuto grazie alle eroiche imprese di Sikh come Nawab Kapur Singh, Jassa Singh Ahluwalia, Jassa Singh Ramgarhia, Sardar Baghel Singh che combatterono molte battaglie contro l’Impero Moghul. Sardar Baghel Singh e Jassa Singh Ahluwalia sfoggiarono la bandiera del Khalsa nel Forte Rosso a Delhi. Baghel Singh eresse molti templi nella capitale in onore dei martiri e Guru Sikh. Egli era solito dire: “Non abbiamo paura di combattere, è la nostra routine quotidiana”.
Quando l’Imperatore Abdali massacrò i Sikh nel Grande Olocausto, Jassa Singh Ahluwalia combatté con indomito coraggio e ricevette innumerevoli ferite sul proprio corpo ma non si tirò indietro.
Questi valorosi Generali non solo difesero i Sikh ma anche le popolazioni dell’Hindustan. Affrontarono più volte gli afgani e quando essi saccheggiarono Delhi e catturarono centinaia di giovani donne, i Sikh li attaccarono sulla strada del ritorno e salvarono le giovani innocenti donne rapite riportandole dai loro familiari.
Nel 18° secolo nel Punjab nacquero diversi gruppi dei Sikh, noti come Misl. Molti leader di questi Misl si scontrarono pure a vicenda ma quando si presentava una minaccia estera essi si riunivano e combattevano il nemico insieme.
George Foster scrisse nel 1783 che i Misl uniti insieme avevano più di 200'000 cavalli e la loro cavalleria era la più grande forza presente nell’Hindustan in quell’epoca.
Quando Maharaja Ranjit Singh arrivò al comando del proprio Misl egli si prefisse l’obiettivo di unirli e formare un’unica forza che governasse il Punjab. Egli riuscì nel suo intento e plasmò l’Impero Sikh. Fu il primo indiano in mille anni di storia, ad arginare le invasioni da nord-ovest e a portare la sua bandiera nella madrepatria dei conquistatori tradizionali dell’Hindustan. Organizzò il proprio esercito secondo il modello europeo e creò dei battaglioni chiamati Fauj-e-Khas, con a capo dei Generali come Ventura, Paolo di Avitabile, Allard e altri.
Le zone appartenenti all’Impero Sikh di Maharaja Ranjit Singh furono le uniche di tutto l’Hindustan a non essere annesse dagli inglesi, i quali furono costretti dal Maharaja a scendere a compromessi. Grazie ai suoi Generali egli era riuscito ad estendere il suo dominio dal passo di Khyber a ovest fino al fiume Sutlej a est, dall'estremità nord del Khasmir al deserto del Sindh nel sud. Tra questi impavidi Generali vi erano Sardar Hari Singh Nalwa e Akali Phoola Singh.
Hari Singh Nalwa conosciuto anche come Murat dell'armata Sikh venne comparato da un giornale Europeo del 1881 a grandi Generali europei come Napoleone, Field Marshal Von Hindenburg, Duca di Wellington e a quelli asiatici come Halaku Khan e Gengis Khan e concluse che Hari Singh Nalwa era il migliore tra i Generali Sikh.
Dopo la morte di Maharaja Ranjit Singh i Dogra e gli inglesi distrussero il suo Impero e gli inglesi incuranti del trattato stabilito in precedenza provarono a conquistare il Punjab. Sardar Sham Singh Atari si oppose e contrastò gli inglesi ma per colpa di alcuni dhokebaaz quest’ultimi riuscirono ad avere la meglio e iniziarono a regnare nel Punjab.
Le vicende inerenti alle battaglie combattute dai Sikh dopo la morte di Maharaja Ranjit Singh e di come i Sikh entrarono a far parte dell’esercito inglese e arrivarono a contribuire nelle due guerre mondiali saranno messe a disposizione dei lettori nel nostro prossimo libro.
Come in tutte le comunità vengono apprezzati e onorati i Martiri, allo stesso modo anche Generali e Combattenti hanno un posto d’onore nella storia delle comunità. Senza coraggiosi e impavidi Generali e Combattenti, diventa difficile mantenere la dignità e l’esistenza delle comunità.
Selezionare i Generali più importanti della storia italiana non è un compito facile: troppo diverse sono le condizioni in cui essi hanno vissuto e operato, opposti i parametri con cui giudicarne le imprese.
Abbiamo tentato di fare un veloce excursus storico partendo e concentrandoci sull’epoca “imperialista” per eccellenza, quella dell’Impero Romano, indubbiamente caratterizzata da una visione unica della politica e della conquista territoriale, fino ad avvicinarci alla storia contemporanea.
Come nella comunità italiana anche in quella Sikh i Generali vengono ricordati per le loro eroiche imprese e per i contributi dati alla società.
Al tempo della fondazione del Sikhismo per mano di Guru Nanak Dev Ji, l’India stava passando un momento critico, caratterizzato da aggressioni e maltrattamenti dell’essere umano. Guru Nanak Dev Ji assemblò nuovamente le popolazioni donandogli pari dignità e diritti. La gente conobbe un nuovo modo di vivere, divenne finalmente libera. Costruì una comunità che rispettava e apprezzava tutti e che tutt’ora prosegue su quella strada.
La religione Sikh procedeva infondendo pace e armonia tra le persone. Qui il povero e il ricco erano visti con gli stessi occhi. Fu proprio questa parità che creò scontentezza nelle persone di alta classe. Tali persone non accettarono questo nuovo stile di vita e con il passare degli anni si misero contro la filosofia di vita Sikh. L’Imperatore Moghul di quel tempo, Jahangir, imprigionò Guru Arjun Dev Ji che dopo atroci torture raggiunse il martirio. Guru Arjun Dev Ji, il primo martire dei Sikh, del quale abbiamo già scritto nel nostro precedente libro, “I Martiri”, accettò il volere dell’Onnipotente senza lamentela alcuna.
È opportuno ricordare che quando Guru Arjun Dev Ji, portando avanti la filosofia introdotta da Guru Nanak, scrisse il Guru Granth Sahib Ji, testo sacro dei Sikh, esso conteneva non solo le ideologie dei Guru, ma anche di filosofi e santi delle altre religioni. Egli diede gli stessi privilegi dei Guru anche a santi di religioni differenti, per sottolineare l’importanza delle ideologie.
Prima di partire per Lahore, Guru Arjun Dev consegnò il trono di Guru a Hargobind Sahib Ji. Guru Hargobind Sahib all’età di undici anni si sedette sul trono di Guru e fece molti cambiamenti: introdusse due Spade, Miri e Piri, indossò un turbante impreziosito da un asprì reale e costruì l’Akal Takhat, il trono del Senza Tempo. Il suo principale scopo era emancipare questa religione e insegnare ai credenti di proseguire sì sulla retta via, ma con una Spada in mano. Grazie alla quale essi potevano affrontare qualsiasi tipo di minaccia: “per proteggere le serre da animali selvaggi è molto importante disporre di una robusta recinzione”.
Guru Hargobind Sahib dovette anche combattere più volte contro il prepotente governo Moghul. Quattro grandi battaglie furono combattute, tutte con lo scopo di annientare la violenza e il male. Guru Hargobind Sahib rese i Sikh “Santi-Soldati” e viene anche ricordato come primo Generale Sikh che insieme alla meditazione unì la marzialità. Grazie a questi principi i Sikh affrontarono con coraggio i tempi più duri e non si arresero mai.
Proseguendo sul concetto di Miri e Piri il Decimo Guru, Guru Gobind Singh Ji, battezzò i Sikh e trasformò il popolo indiano donandogli un’identità distinta. Sradicò il concetto di caste e portò tutti allo stesso livello. Le persone che venivano sempre sottomesse ora si sentivano libere. Un popolo oppresso trovò nel Sikhismo la speranza di una realtà migliore, alla pari con tutti, “Ek pita ekas ke ham barik”, “Siamo figli di un unico Dio”, divenne un motto di vita. Persone che non avevano mai afferrato una penna, ora scrivevano la storia. Persone che non avevano nemmeno sognato la libertà, ora combattevano per conquistarla e non solo per se stessi ma anche per quelli più deboli e incapaci di lottare per averla.
Guru Gobind Singh sacrificò tutti i membri della sua famiglia. Per salvaguardare la religione Indù egli sacrificò il padre Guru Tegh Bahadur Sahib. I due figli maggiori trovarono il martirio sul campo di battaglia a Chamkaur, mentre sua madre Mata Gujri abbandonò il corpo insieme ai figli minori di soli sette e nove anni che furono murati vivi dal governatore di Sirhind. Guru Gobind Singh realizzò un sacrificio straordinario e incomparabile
.
Guru Gobind Singh era un leader e al tempo stesso un profeta, un intrepido guerriero e il più altruista di tutti. Battezzò i Sikh e successivamente ricevette da loro il battesimo, “Gobind Singh, maestro e discepolo allo stesso tempo”, recitano gli storici, una straordinaria azione per esprimere il proprio attaccamento alla comunità, al Khalsa Panth. Cancellò, seguendo le orme dei suoi predecessori, ogni tipo di disuguaglianza sociale. Cambiò radicalmente la mentalità del popolo.
“È nostro lavoro pesare merce sulla bilancia,
mai abbiamo afferrato un coltello,
un volo di passero ci spaventa,
come potremmo affrontare un nemico?”
In queste persone egli introdusse nuova verve enunciando:
“Sawa lakh se ek ladaun, tabe Gobind Singh Naam kahaun”
[Farò combattere uno solo dei miei contro più di centomila nemici,
solo allora mi definirò Gobind Singh]
Un Sikh battezzato da Guru Gobind Singh, Baba Banda Singh Bahadur, fece traballare il potere dei Moghul nel Punjab. Egli stabilì il primo dominio dei Sikh e introdusse la prima moneta Sikh in nome dei Guru. I nemici però, riuscirono, dopo innumerevoli tentativi e con grande sforzo a mettere al tappeto Banda Singh catturandolo insieme a oltre 740 prigionieri e portando a Delhi quasi 700 carri pieni di teste dei Sikh e altre 2000 teste sulle lance dei soldati Moghul.
Con la fine di Banda Singh Bahadur i Moghul enunciarono la fine dei Sikh. Enunciato che fu ben presto smentito dalle coraggiosi azioni di Sikh come Botta Singh e Garja Singh che dimostrarono ai Moghul che i Sikh erano ancora vivi. In questo modo i Sikh ripresero forza e si riorganizzarono cambiando nuovamente il corso della storia e stabilendo ancora una volta il dominio del Khalsa.
Dominio che fu ottenuto grazie alle eroiche imprese di Sikh come Nawab Kapur Singh, Jassa Singh Ahluwalia, Jassa Singh Ramgarhia, Sardar Baghel Singh che combatterono molte battaglie contro l’Impero Moghul. Sardar Baghel Singh e Jassa Singh Ahluwalia sfoggiarono la bandiera del Khalsa nel Forte Rosso a Delhi. Baghel Singh eresse molti templi nella capitale in onore dei martiri e Guru Sikh. Egli era solito dire: “Non abbiamo paura di combattere, è la nostra routine quotidiana”.
Quando l’Imperatore Abdali massacrò i Sikh nel Grande Olocausto, Jassa Singh Ahluwalia combatté con indomito coraggio e ricevette innumerevoli ferite sul proprio corpo ma non si tirò indietro.
Questi valorosi Generali non solo difesero i Sikh ma anche le popolazioni dell’Hindustan. Affrontarono più volte gli afgani e quando essi saccheggiarono Delhi e catturarono centinaia di giovani donne, i Sikh li attaccarono sulla strada del ritorno e salvarono le giovani innocenti donne rapite riportandole dai loro familiari.
Nel 18° secolo nel Punjab nacquero diversi gruppi dei Sikh, noti come Misl. Molti leader di questi Misl si scontrarono pure a vicenda ma quando si presentava una minaccia estera essi si riunivano e combattevano il nemico insieme.
George Foster scrisse nel 1783 che i Misl uniti insieme avevano più di 200'000 cavalli e la loro cavalleria era la più grande forza presente nell’Hindustan in quell’epoca.
Quando Maharaja Ranjit Singh arrivò al comando del proprio Misl egli si prefisse l’obiettivo di unirli e formare un’unica forza che governasse il Punjab. Egli riuscì nel suo intento e plasmò l’Impero Sikh. Fu il primo indiano in mille anni di storia, ad arginare le invasioni da nord-ovest e a portare la sua bandiera nella madrepatria dei conquistatori tradizionali dell’Hindustan. Organizzò il proprio esercito secondo il modello europeo e creò dei battaglioni chiamati Fauj-e-Khas, con a capo dei Generali come Ventura, Paolo di Avitabile, Allard e altri.
Le zone appartenenti all’Impero Sikh di Maharaja Ranjit Singh furono le uniche di tutto l’Hindustan a non essere annesse dagli inglesi, i quali furono costretti dal Maharaja a scendere a compromessi. Grazie ai suoi Generali egli era riuscito ad estendere il suo dominio dal passo di Khyber a ovest fino al fiume Sutlej a est, dall'estremità nord del Khasmir al deserto del Sindh nel sud. Tra questi impavidi Generali vi erano Sardar Hari Singh Nalwa e Akali Phoola Singh.
Hari Singh Nalwa conosciuto anche come Murat dell'armata Sikh venne comparato da un giornale Europeo del 1881 a grandi Generali europei come Napoleone, Field Marshal Von Hindenburg, Duca di Wellington e a quelli asiatici come Halaku Khan e Gengis Khan e concluse che Hari Singh Nalwa era il migliore tra i Generali Sikh.
Dopo la morte di Maharaja Ranjit Singh i Dogra e gli inglesi distrussero il suo Impero e gli inglesi incuranti del trattato stabilito in precedenza provarono a conquistare il Punjab. Sardar Sham Singh Atari si oppose e contrastò gli inglesi ma per colpa di alcuni dhokebaaz quest’ultimi riuscirono ad avere la meglio e iniziarono a regnare nel Punjab.
Le vicende inerenti alle battaglie combattute dai Sikh dopo la morte di Maharaja Ranjit Singh e di come i Sikh entrarono a far parte dell’esercito inglese e arrivarono a contribuire nelle due guerre mondiali saranno messe a disposizione dei lettori nel nostro prossimo libro.