Baba Budha Ji
Baba Budha Ji viene ricordato come uno dei Sikh di maggior importanza nella storia della nostra religione in quanto visse 125 anni, durante i quali ebbe l’onore di conoscere e servire fedelmente di persona i primi sei Guru, Maestri.
Egli nacque il 6 ottobre 1506 in un piccolo villaggio di nome Katthu Nangal (a circa 18 km a nord-est di Amritsar) in una famiglia di agricoltori. Il padre si chiamava Bhai Suggha, mentre la madre era Mai Guran. Era figlio unico e inizialmente gli venne dato il nome di Bhai Burha. Nel suo luogo di nascita è stato poi costruito il tempio “Gurudwara Shri Janam Asthaan Baba Budha Ji”.
All’età di 3-4 anni fu costretto insieme alla sua famiglia a trasferirsi nel villaggio di Ramdas, vicino al fiume Ravi. Gli anni passavano e Burha aveva ormai 12 anni; il giovane era solito portare le pecore al pascolo su una sponda del fiume e da lì osservava frotte di persone in pellegrinaggio attraversarlo per arrivare dall’altra parte dove Guru Nanak Dev Ji (1° Maestro e fondatore del Sikhismo), cantava inni sacri e faceva dono della propria presenza. Burha, quando venne a conoscenza della notizia, ebbe un forte desiderio di incontrare il Maestro e un giorno, finalmente, si decise a unirsi agli altri pellegrini. L’animo suo si era talmente riempito di pace che anche il giorno dopo, di nascosto dai genitori, il ragazzo si ripresentò al cospetto del Maestro, ma stavolta portò con sé del burro come dono. Confessò al Maestro di come il suo spirito si liberasse da ogni peso ogni qual volta che ai suoi occhi venisse concessa la vista del Guru Ji e di non aver nessuna intenzione di tornare a casa. Guru Nanak Dev Ji, dopo aver ascoltato attentamente i saggi discorsi dello sconosciuto, lo ribattezzò col nome di Budha, ovvero vecchio.
Quando Bhai Suggha e Mai Gauran ritrovarono loro figlio, ai loro occhi si presentava con le sembianze di un vecchio cosicché decisero di appagare il desiderio del giovane e affidarlo alle cure del Maestro.
Bhai Budha Ji si trasferì a Kartarpur, il villaggio di Guru Nanak Dev Ji, e qui si dedicò costantemente e con tanto amore a qualsiasi tipo di sewa (volontariato) mantenendo vivo nella propria mente il ricordo di Dio. Essendo analfabeta, egli ebbe per la prima volta la possibilità di imparare a leggere e a scrivere Gurmukhi (versione semplificata e considerata sacra, dell'antico sanscrito e che comprende vocaboli panjabi, persiani e sanscriti).
Occasionalmente Bhai Budha Ji tornava a Ramdas per far visita ai genitori, i quali, al compimento del suo diciassettesimo anno di vita, andarono a Kartarpur per chiedere a Guru Nanak Dev Ji il permesso di poter fissare il matrimonio del ragazzo. Ovviamente il Maestro acconsentì.
Per i preparativi tutta la famiglia si recò a Katthu Nangal e nel 1523, nel villaggio di Achal (6 km a sud di Batala), Bhai Budha Ji si sposò con Myroaa. Alla cerimonia fu invitato anche Guru Nanak Dev Ji, che non potendo venire, mandò la moglie e i due figli. I genitori pensavano che dopo il matrimonio, il figlio sarebbe tornato a vivere con loro, ma ciò non accadde: egli era ormai diventato un devoto del Maestro e il suo animo risentiva della lontananza da esso
.
Purtroppo, poco tempo dopo il matrimonio del figlio Bhai Suggha si ammalò e morì, seguito dalla moglie diciassette giorni dopo. Molte persone si radunarono per il dispiacere e anche per via della partecipazione di Guru Nanak Dev Ji alla cremazione. Allora Bhai Budha Ji era padre di due figli (Bhai Sudhari e Bhai Bhikhari) e quindi doveva decidere se portare la propria famiglia con sé a Kartarpur o rimanere a Ramdas. Per un po’ di tempo visse lontano dal proprio Maestro, il quale veniva a fargli visita qualche volta. In seguito la lontananza divenne insopportabile a tal punto da costringerlo a trasferirsi con moglie e figli a Kartarpur. Inoltre la città ormai era sempre colma di pellegrini che venivano da tutte le parti del mondo per vedere di persona Guru Nanak Dev Ji: si diceva che c’era un movimento di persone che superava quello di città ben più grandi come Lahore e Delhi, cosicché anche Bhai Budha Ji non ritenne giusto non essere a fianco del Maestro.
Un’altra persona che ebbe il piacere di conoscere allora era Bhai Lehna Ji, che in seguito sarebbe diventato Guru Angad Dev Ji, il secondo Maestro Sikh.
Correva l’anno 1539 e ben presto arrivò anche il momento per Guru Nanak Dev Ji di abbandonare la propria vita terrena e quindi mise alla prova i propri devoti per scegliere chi l’avrebbe succeduto. Il giorno della cerimonia in cui il prescelto doveva diventare ufficialmente Maestro, a Bhai Budha Ji venne affidato il compito di applicare Tilak (o Tikka) sulla fronte di Guru Angad Dev Ji e poi fare Parkarmaa (circumambulazione intorno alla figura del Maestro); questo gesto aumentò il rispetto che gli altri Sikh avevano verso il fedele.
Purtroppo i figli di Guru Nanak Dev Ji si sentirono offesi dal fatto che il prescelto non era uno di loro e per questo motivo al nuovo Maestro venne ordinato di trasferirsi a Khadur Sahib suo malgrado.
Ormai erano passati sei mesi da quando il Primo Maestro aveva lasciato i propri fedeli, i quali erano sempre più disorientati poiché non erano in grado di trovare Guru Angad Dev Ji nonostante le svariate ricerche, pertanto si rivolsero a Baba Budha Ji che al momento sembrava l’unico che potesse aiutarli. Egli, dopo aver osservato per anni il comportamento umile di Guru Angad Dev Ji, sapeva con certezza che il Maestro mai avrebbe rifiutato l’ordine di Guru Nanak Dev Ji e quindi era sicuramente a Khadur Sahib.
Tutti i Sikh si diressero verso la città, dove chiesero invano informazioni a ogni abitante. Infine capitarono nella modesta casa Mai Bharayi, che non diede loro nessuna risposta. Baba Budha Ji capì immediatamente da questo strano atteggiamento che il Maestro si era nascosto lì e aveva ordinato di non rivelare la sua posizione a nessuno. Fu così che i fedeli trovarono Guru Angad Dev Ji e in quel luogo oggi sorge il tempio “Gurudwara Tapyana Sahib”.
Ovviamente dopo questo episodio la figura di Baba Budha Ji acquisì ancora più rispetto e importanza di quanta ne avesse prima: ogni pellegrino che veniva per incontrare il Maestro, non andava mai via senza aver avuto il piacere di conoscere anche Baba Ji, sia che egli si trovasse a Khadur Sahib sia che si fosse spostato momentaneamente nel proprio villaggio di provenienza. Infatti, egli ormai era padre di quattro figli. I due più piccoli erano Bhai Mehmu Ji e Bhai Bhana Ji ed erano sotto la responsabilità dei fratelli più grandi, i quali oltretutto gestivano anche le attività di casa permettendo così al padre di dedicare anima e corpo al servizio del Maestro.
Egli a quei tempi si occupava con piacere e dedizione del bestiame, dei terreni e campi a nome del tempio, oltre a diffondere gli ideali appresi dal Maestro assieme alle sue gesta.
In seguito, dopo l’ordine di Guru Angad Dev Ji, cominciò anche a insegnare Gurmukhi a bambini e fedeli.
Il tempo passò e ben presto i tre figli più grandi si sposarono e Baba Ji ormai trascorreva la maggior parte del proprio tempo a Khadur Sahib, dove conobbe (Guru) Amar Das e poté essere testimone di tutta la passione e l’amore con cui egli si dedicava al sewa, indipen-dentemente dalle condizioni dell’ambiente in cui doveva lavorare. Per questo motivo il discepolo non si stupì quando il suo compagno si rivelò il prescelto per diventare terzo Maestro dei Sikh.
Era l’anno 1552 e, come avvenne precedentemente nel 1539, durante la cerimonia di successione del Trono di Guru, Baba Budha Ji applicò Tikka sulla fronte di Guru Amar Das Ji e fece Parkarmaa: solo in seguito a questo rito quest’ultimo si poté definire definitivamente Maestro.
Purtroppo anche Guru Amar Das Ji fu costretto ad andarsene da Khadur Sahib, poiché Bhai Datu Ji, figlio del suo predecessore, non sopportava l’idea che un sewadar (volontario) fosse divenuto Maestro.
I fedeli, anche questa volta, chiesero consiglio a Baba Budha Ji che li aiutò nelle ricerche e con la propria saggezza ideò un piano che si rivelò efficace: egli liberò la cavalla del Maestro e la seguì fino a raggiungere una piccola costruzione a Basarke. C’era una porta con una scritta: “Chiunque osa aprire questa porta non sarà più mio discepolo né io sarò suo Maestro”. Gli altri fedeli andarono nel panico, mentre Baba Ji non si fece intimorire, anzi, spaccò i mattoni del muro sul retro ed entrò. In questo posto oggi sorge un tempio nominato “Gurudwara Sann Sahib”.
In seguito il Maestro si trasferì perennemente a Goindwal e ordinò a Baba Budha Ji di seguirlo.
Come l’età avanzava anche l’importanza di Baba Ji andava aumentando: ogni nuovo lavoro o iniziativa aveva luogo sotto i suoi occhi e sotto il suo controllo. Nel 1556 egli ebbe l’onore di porre la prima pietra e partecipare attivamente alla costruzione di Baoli Sahib: si tratta di un “pozzo” costituito da una scalinata che conduce a un bacino di acqua potabile situata in profondità.
Baba Ji, inoltre, si occupava dei visitatori del tempio e dava ospitalità anche a persone di grande rilievo.
Egli aveva circa sessanta anni, e il Maestro circa novanta, quando l’imperatore Akbar fece visita al Tempio per confermare le voci che arrivavano fino alla sua corte e che descrivevano di come quel posto trasmettesse tranquillità e pace all’animo di chiunque, senza distinzioni di casta, genere, età o religione.
L’imperatore si complimentò col Maestro per l’affabilità, l’umiltà e l’ospitalità che i sewadar dimostravano verso i visitatori ed evidenziò soprattutto la saggezza e la devozione di Baba Budha Ji.
Il devoto infatti, grazie alla conoscenza e alle nozioni acquisite dai Maestri, era capace di “fiutare” il pensiero e il desiderio di chi gli stava di fronte.
Intanto venne l’ora anche per Guru Amar Das Ji di lasciare il proprio corpo e divenne Maestro il fedele Bhai Jetha Ji, che venne poi nominato Guru Ram Das Ji dopo l’applicazione di Tilak per mano di Baba Budha Ji e che quest’ultimo avesse fatto Parkarmaa intorno alla sua figura. Alla scomparsa del terzo Maestro, Baba Ji era uno dei principali organizzatori della sua cerimonia di cremazione e si prese tutte le responsabilità dovute all’apertura di una cucina comunitaria in ricordo dell’amato Guru.
In seguito il fedele si spostò ad Amritsar, che allora era costituito da una foresta. In questo luogo si occupava del bestiame e dei terreni, mandando il ricavato e i raccolti al Tempio. Nel 1574, Guru Ram Das, iniziò in questa cittadina i lavori di scavo di uno stagno che fu allargato e trasformato in un bacino regolare; Baba Budha Ji ebbe l’onore di prendere tutte le misure necessarie e organizzare l’intero lavoro.
Nel 1581 anche il quarto Maestro lasciò la propria vita terrena nominando suo figlio Guru Arjun Dev Ji e la cerimonia fu uguale a quelle precedenti, con l’indispen-sabile partecipazione di Baba Budha Ji.
A quel tempo il fratello del quinto Maestro, Prithi Chand, aveva cercato invano di ricattare e minacciare Baba Ji per costringerlo ad applicare Tilak sulla sua fronte e a ingannare tutta la comunità Sikh facendo credere che fosse lui il vero prescelto. I suoi tentativi non andarono a buon fine.
Guru Arjun Dev Ji volle ampliare il progetto del padre e avviò così la costruzione dell’Harmandir Sahib (Tempio d’oro) e chiese consiglio a Baba Budha Ji, che ritenne giusto chiamare un santo musulmano di nome Hazrat Mian Mir per poggiare la prima pietra delle fondamenta dell’edificio; un gesto che sottolineò il principio di uguaglianza del Sikhismo; all’evento era presente tutta la famiglia di Baba Budha Ji, compresi i figli, le nuore e addirittura i nipoti.
Baba Budha Ji si occupò dell’organizzazione, dei fondi e dei volontari addetti al lavoro; era solito sedere e occuparsi delle varie faccende sotto un albero che oggi è ricordato col nome di “Ber Baba Budha Sahib Ji”.
Al tempo di Guru Arjun Dev Ji, il governatore di Lahore era Wazir Khan, il quale soffriva d’idropisia, in altre parole una malattia dovuta a del materiale sieroso che si spande in modo incontrollato in una cavità del corpo. Un discepolo Sikh aveva consigliato a Wazir Khan di rivolgersi al Maestro, dal quale venne però indirizzato verso Baba Budha Ji. Quest’ultimo, dopo aver ricevuto l’ordine da Guru Ji di trovare una guarigione, prese un cesto ripieno e lo poggiò sulla pancia di Wazir, cosicché del liquido cominciò a uscire dalla pancia del malcapitato, il quale notò subito che il dolore stava a mano a mano diminuendo. Dopo quell’episodio il musulmano passò svariati giorni al cospetto di Guru Arjun Dev, finché non fu completamente guarito. La paura che il problema tornasse costrinse l’uomo a esporre al Maestro le proprie preoccupazioni: venne fatto cenno a Baba Ji di rispondere al Subedar (Governatore). La risposta che ricevette fu questa:“Se davvero non vuoi più che la malattia si ripresenti, devi chiedere ad un Sikh di leggerti ogni giorno Sukhmani Sahib (preghiera)”. Wazir Khan tenne a mente quelle parole e seguì il consiglio del fedele fino alla fine dei propri giorni.
Nel 1589 Guru Arjun Dev Ji si sposò con Mata Ganga Ji. Nonostante i dodici anni di matrimonio, la coppia non ebbe nessun figlio. Mata Ganga Ji era molto triste al riguardo, soprattutto quando le veniva ricordata questa mancanza e un giorno il marito le disse che se voleva un figlio, doveva richiederlo al loro fedele Budha Ji. Il giorno seguente la donna ordinò ai servi di preparare una carrozza e dei piatti prelibati. Quando arrivò finalmente a Ber Sahib, dove risiedeva Baba Ji, quest’ultimo si rifiutò di riceverla. Lei tornò a casa e riferì l’accaduto al Maestro, il quale le consigliò di andare al cospetto dell’anziano con umiltà.
La donna, consapevole del proprio errore, il giorno dopo percorse le 10-12 miglia del tragitto a piedi e portò con sé del modesto cibo cucinato con le proprie mani. Baba Ji la incontrò con gioia e accettò con piacere il cibo. Prese una cipolla e cominciò a romperla mentre pronunciava le seguenti parole: “Donna, tuo figlio sarà forte e batterà i propri nemici con la stessa facilità con cui io rompo questa cipolla. I suoi avversari tremeranno anche solo ad udirne il nome”.
Mata Ganga Ji, rincuorata dalla gioia, provò piacere nel tornare a casa a piedi e da quel giorno in poi si dedicò a fare sewa ogni giorno, finché la profezia non si avverò. Quando suo figlio nacque, nel 1595, Baba Ji venne a vedere il piccolo ed ebbe l’onore di nominarlo Hargobind per poi assumersi la responsabilità di seguirlo negli anni e occuparsi della sua formazione in ogni campo.
Nel 1601 la costruzione del Tempio d’Oro era completata e nel 1604 vi fu trasferito il Testo Sacro “Guru Granth Sahib Ji”. Il primo lettore (Granthi) delle Sacre Scritture fu proprio Baba Budha Ji.
Il 15 maggio 1606 l’imperatore Jahangir ordinò la cattura del quinto Maestro, il quale dovette recarsi a Lahore: prima di andare egli si confidò con Baba Budha Ji e gli riferì di occuparsi delle attività del Tempio e mantenerne l’organizzazione sotto il proprio controllo. Gli disse di nominare Maestro Hargobind quando lui stesso avrebbe mandato l’ordine.
Il 30 maggio 1606 Guru Arjun Dev Ji venne ucciso dopo essere stato torturato, in quanto si rifiutò di aggiungere delle lodi di Maometto al Libro Sacro. Baba Budha Ji ricevette l’ultimo volere di Guru Arjun Dev Ji tramite Bhai Jetha Ji, Perha Ji, Mekha Ji, Langah Ji e Bidhi Ji: i cinque fedeli gli comunicarono di avviare la cerimonia per nominare il successivo Maestro e così si procedette.
Questa volta Hargobind volle indossare due spade che gli vennero affidate da Baba Ji: una rappresentava il potere temporale, Miri, mentre l’altra quello spirituale, Piri. Il devoto supportò le parole del nuovo Maestro, affermando che a questo punto era divenuto indispensabile difendere gli ideali della religione e la giustizia con l’uso della forza, che ormai era necessaria per salvaguardare i propri diritti di fronte alle ingiustizie imperiali. Questo discorso si trattenne nello stesso luogo dove in seguito sarebbe sorto il Trono del Senza Tempo, l’Akal Takht, di fronte al Tempio d’Oro.
Al tempo Baba Ji aveva oltre cento anni, ma continuava costantemente a eseguire il proprio dovere, inoltre aveva raggiunto un tale livello di saggezza che ogni parola da lui pronunciata diventava profezia.
All’età di dodici anni il Maestro cominciò ad addestrarsi insieme ai devoti e ordinò che invece di fondi, venissero donati armi e cavalli di buona stazza. Baba Ji aiutò il proprio Maestro nella missione gestendo oltre alle armi, anche gli uomini a disposizione. Nel giro di due anni lo aiutò a munirsi di un esercito imbattibile, ma soprattutto affidabile.
Nel frattempo erano stati intrapresi i lavori per innalzare un Tempio che fosse anche la “corte” del Guru e che rimanesse intatto nel tempo insieme al suo valore; il volere del Maestro era che quest’Akal Takht diventasse luogo di raduno anche in futuro e diventasse una corte di giustizia per chiunque ne avesse bisogno.
Anche la prima pietra di questo edificio venne posta dal Sikh più importante ed anziano del Tempio, ovvero Baba Budha Ji.
Intanto le acque nel territorio nemico si erano calmate un po’ in seguito al martirio di Guru Arjun Dev Ji, ma alla notizia che in Panjab il nuovo Maestro si stava fornendo di truppe e armi, l’Imperatore Jahangir ordinò l’arresto di Guru Hargobind e lo scioglimento della sua guardia. Il sovrano non poteva tollerare la sua politica di ordine militare e di conseguenza lo fece imprigionare nella fortezza di Gwalior.
Quest’ultimo partì e comandò a Baba Ji di calmare l’animo degli altri Sikh, in particolare di Mata Ganga Ji, la quale si stava disperando nel veder partire prima marito e poi figlio. Baba Ji rassicurò la donna e ogni sera riuniva tutti i discepoli al Tempio per cantare insieme Inni sacri e pregare, per poi fare Parkarmaa intorno ad Harmandir Sahib: il Maestro aveva promesso che chiunque avesse voluto vederlo avrebbe dovuto partecipare a questo rito.
Infine Mata Ganga Ji costrinse Baba Ji ad andare a Delhi e ideare un piano per liberare suo figlio. Baba Ji assieme a numerosi fedeli si presentò al Forte di Gwalior richiedendo incessantemente la liberazione del Guru. Molte persone appoggiarono il Sikhismo e l’eventualità di un colpo di stato si sarebbe potuta presentare da un momento all’altro, nel caso in cui il Guru non fosse stato liberato al più presto. Nello stesso momento cinquantadue sovrani indù erano detenuti delle prigioni del Forte di Gwalior e oppressive erano le politiche adottate da Jahangir nei confronti della maggioranza della popolazione. Egli si trovò quindi costretto a ordinare la scarcerazione della massima autorità Sikh al fine di salvare il trono.
Al momento della sua liberazione Guru Hargobind stabilì la condizione secondo la quale avrebbe lasciato il Forte solo a patto che tutte le persone recluse fossero liberate. Egli condusse quindi tutti e cinquantadue prigionieri fuori dal Forte di Gwalior, restituendo loro lo status di uomini liberi.
Erano passati 113 anni da quando Baba Budha Ji aveva deciso di avventurarsi in quella vita come discepolo di Guru Nanak Dev Ji e sentiva che anche la sua fine era vicina, per cui chiese a Guru Hargobind Ji di poter andare a trascorrere qualche periodo nel villaggio dove aveva vissuto la propria infanzia.
A Ramdas meditò e a mano a mano che la morte si avvicinava, egli chiese al figlio più piccolo, Bhai Bhana Ji, di condurre Hargobind Sahib Ji fino al villaggio poiché voleva che il suo Maestro gli fosse a fianco quando avrebbe esalato l’ultimo respiro. Il ragazzo mandò a chiamare anche i suoi fratelli che vivevano separatamente.
Moltissime persone si radunarono dopo aver saputo dell’imminente morte di Baba Ji e quando finalmente il Maestro lo raggiunse, gli confidò di avere un ultimo desiderio: egli voleva per l’ultima volta inchinarsi davanti alla sua figura. Guru Ji ribatté che l’avrebbe fatto contro il suo volere e avanzò quindi il piede destro, che Baba Ji afferrò con calore e amore; in questa posizione pronunciò le ultime parole ringraziando per la vita che gli era stata concessa e l’occasione di servire sei Maestri, di aver avuto l’opportunità di guadagnarsi il ricongiun-gimento della propria anima con l’Eterno Creatore.
Il 16 novembre 1631, all’età di 125 anni, Baba Budha Ji lasciò questo mondo e Guru Hargobind Ji si prese l’incarico di svolgere di persona tutti i riti richiesti durante la cremazione. Per questo motivo egli sostò nel piccolo villaggio di Ramdas per diciassette giorni, insieme ad altri fedeli riunitisi per l’occasione.
È importante a questo punto ricordare come, durante tutte le cerimonie per nominare gli altri Guru, l’applicazione di Tikka è sempre avvenuta a mano di nipoti e pronipoti di Baba Budha Ji.
Questa figura ha acquisito nel tempo sempre maggiore stima perché un esempio unico che mostra l’importanza di sewa nella vita di un sikh, indispensabile per elevarsi spiritualmente ed essere più vicini all’Onnipotente.
Baba Budha Ji viene ricordato come uno dei Sikh di maggior importanza nella storia della nostra religione in quanto visse 125 anni, durante i quali ebbe l’onore di conoscere e servire fedelmente di persona i primi sei Guru, Maestri.
Egli nacque il 6 ottobre 1506 in un piccolo villaggio di nome Katthu Nangal (a circa 18 km a nord-est di Amritsar) in una famiglia di agricoltori. Il padre si chiamava Bhai Suggha, mentre la madre era Mai Guran. Era figlio unico e inizialmente gli venne dato il nome di Bhai Burha. Nel suo luogo di nascita è stato poi costruito il tempio “Gurudwara Shri Janam Asthaan Baba Budha Ji”.
All’età di 3-4 anni fu costretto insieme alla sua famiglia a trasferirsi nel villaggio di Ramdas, vicino al fiume Ravi. Gli anni passavano e Burha aveva ormai 12 anni; il giovane era solito portare le pecore al pascolo su una sponda del fiume e da lì osservava frotte di persone in pellegrinaggio attraversarlo per arrivare dall’altra parte dove Guru Nanak Dev Ji (1° Maestro e fondatore del Sikhismo), cantava inni sacri e faceva dono della propria presenza. Burha, quando venne a conoscenza della notizia, ebbe un forte desiderio di incontrare il Maestro e un giorno, finalmente, si decise a unirsi agli altri pellegrini. L’animo suo si era talmente riempito di pace che anche il giorno dopo, di nascosto dai genitori, il ragazzo si ripresentò al cospetto del Maestro, ma stavolta portò con sé del burro come dono. Confessò al Maestro di come il suo spirito si liberasse da ogni peso ogni qual volta che ai suoi occhi venisse concessa la vista del Guru Ji e di non aver nessuna intenzione di tornare a casa. Guru Nanak Dev Ji, dopo aver ascoltato attentamente i saggi discorsi dello sconosciuto, lo ribattezzò col nome di Budha, ovvero vecchio.
Quando Bhai Suggha e Mai Gauran ritrovarono loro figlio, ai loro occhi si presentava con le sembianze di un vecchio cosicché decisero di appagare il desiderio del giovane e affidarlo alle cure del Maestro.
Bhai Budha Ji si trasferì a Kartarpur, il villaggio di Guru Nanak Dev Ji, e qui si dedicò costantemente e con tanto amore a qualsiasi tipo di sewa (volontariato) mantenendo vivo nella propria mente il ricordo di Dio. Essendo analfabeta, egli ebbe per la prima volta la possibilità di imparare a leggere e a scrivere Gurmukhi (versione semplificata e considerata sacra, dell'antico sanscrito e che comprende vocaboli panjabi, persiani e sanscriti).
Occasionalmente Bhai Budha Ji tornava a Ramdas per far visita ai genitori, i quali, al compimento del suo diciassettesimo anno di vita, andarono a Kartarpur per chiedere a Guru Nanak Dev Ji il permesso di poter fissare il matrimonio del ragazzo. Ovviamente il Maestro acconsentì.
Per i preparativi tutta la famiglia si recò a Katthu Nangal e nel 1523, nel villaggio di Achal (6 km a sud di Batala), Bhai Budha Ji si sposò con Myroaa. Alla cerimonia fu invitato anche Guru Nanak Dev Ji, che non potendo venire, mandò la moglie e i due figli. I genitori pensavano che dopo il matrimonio, il figlio sarebbe tornato a vivere con loro, ma ciò non accadde: egli era ormai diventato un devoto del Maestro e il suo animo risentiva della lontananza da esso
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Purtroppo, poco tempo dopo il matrimonio del figlio Bhai Suggha si ammalò e morì, seguito dalla moglie diciassette giorni dopo. Molte persone si radunarono per il dispiacere e anche per via della partecipazione di Guru Nanak Dev Ji alla cremazione. Allora Bhai Budha Ji era padre di due figli (Bhai Sudhari e Bhai Bhikhari) e quindi doveva decidere se portare la propria famiglia con sé a Kartarpur o rimanere a Ramdas. Per un po’ di tempo visse lontano dal proprio Maestro, il quale veniva a fargli visita qualche volta. In seguito la lontananza divenne insopportabile a tal punto da costringerlo a trasferirsi con moglie e figli a Kartarpur. Inoltre la città ormai era sempre colma di pellegrini che venivano da tutte le parti del mondo per vedere di persona Guru Nanak Dev Ji: si diceva che c’era un movimento di persone che superava quello di città ben più grandi come Lahore e Delhi, cosicché anche Bhai Budha Ji non ritenne giusto non essere a fianco del Maestro.
Un’altra persona che ebbe il piacere di conoscere allora era Bhai Lehna Ji, che in seguito sarebbe diventato Guru Angad Dev Ji, il secondo Maestro Sikh.
Correva l’anno 1539 e ben presto arrivò anche il momento per Guru Nanak Dev Ji di abbandonare la propria vita terrena e quindi mise alla prova i propri devoti per scegliere chi l’avrebbe succeduto. Il giorno della cerimonia in cui il prescelto doveva diventare ufficialmente Maestro, a Bhai Budha Ji venne affidato il compito di applicare Tilak (o Tikka) sulla fronte di Guru Angad Dev Ji e poi fare Parkarmaa (circumambulazione intorno alla figura del Maestro); questo gesto aumentò il rispetto che gli altri Sikh avevano verso il fedele.
Purtroppo i figli di Guru Nanak Dev Ji si sentirono offesi dal fatto che il prescelto non era uno di loro e per questo motivo al nuovo Maestro venne ordinato di trasferirsi a Khadur Sahib suo malgrado.
Ormai erano passati sei mesi da quando il Primo Maestro aveva lasciato i propri fedeli, i quali erano sempre più disorientati poiché non erano in grado di trovare Guru Angad Dev Ji nonostante le svariate ricerche, pertanto si rivolsero a Baba Budha Ji che al momento sembrava l’unico che potesse aiutarli. Egli, dopo aver osservato per anni il comportamento umile di Guru Angad Dev Ji, sapeva con certezza che il Maestro mai avrebbe rifiutato l’ordine di Guru Nanak Dev Ji e quindi era sicuramente a Khadur Sahib.
Tutti i Sikh si diressero verso la città, dove chiesero invano informazioni a ogni abitante. Infine capitarono nella modesta casa Mai Bharayi, che non diede loro nessuna risposta. Baba Budha Ji capì immediatamente da questo strano atteggiamento che il Maestro si era nascosto lì e aveva ordinato di non rivelare la sua posizione a nessuno. Fu così che i fedeli trovarono Guru Angad Dev Ji e in quel luogo oggi sorge il tempio “Gurudwara Tapyana Sahib”.
Ovviamente dopo questo episodio la figura di Baba Budha Ji acquisì ancora più rispetto e importanza di quanta ne avesse prima: ogni pellegrino che veniva per incontrare il Maestro, non andava mai via senza aver avuto il piacere di conoscere anche Baba Ji, sia che egli si trovasse a Khadur Sahib sia che si fosse spostato momentaneamente nel proprio villaggio di provenienza. Infatti, egli ormai era padre di quattro figli. I due più piccoli erano Bhai Mehmu Ji e Bhai Bhana Ji ed erano sotto la responsabilità dei fratelli più grandi, i quali oltretutto gestivano anche le attività di casa permettendo così al padre di dedicare anima e corpo al servizio del Maestro.
Egli a quei tempi si occupava con piacere e dedizione del bestiame, dei terreni e campi a nome del tempio, oltre a diffondere gli ideali appresi dal Maestro assieme alle sue gesta.
In seguito, dopo l’ordine di Guru Angad Dev Ji, cominciò anche a insegnare Gurmukhi a bambini e fedeli.
Il tempo passò e ben presto i tre figli più grandi si sposarono e Baba Ji ormai trascorreva la maggior parte del proprio tempo a Khadur Sahib, dove conobbe (Guru) Amar Das e poté essere testimone di tutta la passione e l’amore con cui egli si dedicava al sewa, indipen-dentemente dalle condizioni dell’ambiente in cui doveva lavorare. Per questo motivo il discepolo non si stupì quando il suo compagno si rivelò il prescelto per diventare terzo Maestro dei Sikh.
Era l’anno 1552 e, come avvenne precedentemente nel 1539, durante la cerimonia di successione del Trono di Guru, Baba Budha Ji applicò Tikka sulla fronte di Guru Amar Das Ji e fece Parkarmaa: solo in seguito a questo rito quest’ultimo si poté definire definitivamente Maestro.
Purtroppo anche Guru Amar Das Ji fu costretto ad andarsene da Khadur Sahib, poiché Bhai Datu Ji, figlio del suo predecessore, non sopportava l’idea che un sewadar (volontario) fosse divenuto Maestro.
I fedeli, anche questa volta, chiesero consiglio a Baba Budha Ji che li aiutò nelle ricerche e con la propria saggezza ideò un piano che si rivelò efficace: egli liberò la cavalla del Maestro e la seguì fino a raggiungere una piccola costruzione a Basarke. C’era una porta con una scritta: “Chiunque osa aprire questa porta non sarà più mio discepolo né io sarò suo Maestro”. Gli altri fedeli andarono nel panico, mentre Baba Ji non si fece intimorire, anzi, spaccò i mattoni del muro sul retro ed entrò. In questo posto oggi sorge un tempio nominato “Gurudwara Sann Sahib”.
In seguito il Maestro si trasferì perennemente a Goindwal e ordinò a Baba Budha Ji di seguirlo.
Come l’età avanzava anche l’importanza di Baba Ji andava aumentando: ogni nuovo lavoro o iniziativa aveva luogo sotto i suoi occhi e sotto il suo controllo. Nel 1556 egli ebbe l’onore di porre la prima pietra e partecipare attivamente alla costruzione di Baoli Sahib: si tratta di un “pozzo” costituito da una scalinata che conduce a un bacino di acqua potabile situata in profondità.
Baba Ji, inoltre, si occupava dei visitatori del tempio e dava ospitalità anche a persone di grande rilievo.
Egli aveva circa sessanta anni, e il Maestro circa novanta, quando l’imperatore Akbar fece visita al Tempio per confermare le voci che arrivavano fino alla sua corte e che descrivevano di come quel posto trasmettesse tranquillità e pace all’animo di chiunque, senza distinzioni di casta, genere, età o religione.
L’imperatore si complimentò col Maestro per l’affabilità, l’umiltà e l’ospitalità che i sewadar dimostravano verso i visitatori ed evidenziò soprattutto la saggezza e la devozione di Baba Budha Ji.
Il devoto infatti, grazie alla conoscenza e alle nozioni acquisite dai Maestri, era capace di “fiutare” il pensiero e il desiderio di chi gli stava di fronte.
Intanto venne l’ora anche per Guru Amar Das Ji di lasciare il proprio corpo e divenne Maestro il fedele Bhai Jetha Ji, che venne poi nominato Guru Ram Das Ji dopo l’applicazione di Tilak per mano di Baba Budha Ji e che quest’ultimo avesse fatto Parkarmaa intorno alla sua figura. Alla scomparsa del terzo Maestro, Baba Ji era uno dei principali organizzatori della sua cerimonia di cremazione e si prese tutte le responsabilità dovute all’apertura di una cucina comunitaria in ricordo dell’amato Guru.
In seguito il fedele si spostò ad Amritsar, che allora era costituito da una foresta. In questo luogo si occupava del bestiame e dei terreni, mandando il ricavato e i raccolti al Tempio. Nel 1574, Guru Ram Das, iniziò in questa cittadina i lavori di scavo di uno stagno che fu allargato e trasformato in un bacino regolare; Baba Budha Ji ebbe l’onore di prendere tutte le misure necessarie e organizzare l’intero lavoro.
Nel 1581 anche il quarto Maestro lasciò la propria vita terrena nominando suo figlio Guru Arjun Dev Ji e la cerimonia fu uguale a quelle precedenti, con l’indispen-sabile partecipazione di Baba Budha Ji.
A quel tempo il fratello del quinto Maestro, Prithi Chand, aveva cercato invano di ricattare e minacciare Baba Ji per costringerlo ad applicare Tilak sulla sua fronte e a ingannare tutta la comunità Sikh facendo credere che fosse lui il vero prescelto. I suoi tentativi non andarono a buon fine.
Guru Arjun Dev Ji volle ampliare il progetto del padre e avviò così la costruzione dell’Harmandir Sahib (Tempio d’oro) e chiese consiglio a Baba Budha Ji, che ritenne giusto chiamare un santo musulmano di nome Hazrat Mian Mir per poggiare la prima pietra delle fondamenta dell’edificio; un gesto che sottolineò il principio di uguaglianza del Sikhismo; all’evento era presente tutta la famiglia di Baba Budha Ji, compresi i figli, le nuore e addirittura i nipoti.
Baba Budha Ji si occupò dell’organizzazione, dei fondi e dei volontari addetti al lavoro; era solito sedere e occuparsi delle varie faccende sotto un albero che oggi è ricordato col nome di “Ber Baba Budha Sahib Ji”.
Al tempo di Guru Arjun Dev Ji, il governatore di Lahore era Wazir Khan, il quale soffriva d’idropisia, in altre parole una malattia dovuta a del materiale sieroso che si spande in modo incontrollato in una cavità del corpo. Un discepolo Sikh aveva consigliato a Wazir Khan di rivolgersi al Maestro, dal quale venne però indirizzato verso Baba Budha Ji. Quest’ultimo, dopo aver ricevuto l’ordine da Guru Ji di trovare una guarigione, prese un cesto ripieno e lo poggiò sulla pancia di Wazir, cosicché del liquido cominciò a uscire dalla pancia del malcapitato, il quale notò subito che il dolore stava a mano a mano diminuendo. Dopo quell’episodio il musulmano passò svariati giorni al cospetto di Guru Arjun Dev, finché non fu completamente guarito. La paura che il problema tornasse costrinse l’uomo a esporre al Maestro le proprie preoccupazioni: venne fatto cenno a Baba Ji di rispondere al Subedar (Governatore). La risposta che ricevette fu questa:“Se davvero non vuoi più che la malattia si ripresenti, devi chiedere ad un Sikh di leggerti ogni giorno Sukhmani Sahib (preghiera)”. Wazir Khan tenne a mente quelle parole e seguì il consiglio del fedele fino alla fine dei propri giorni.
Nel 1589 Guru Arjun Dev Ji si sposò con Mata Ganga Ji. Nonostante i dodici anni di matrimonio, la coppia non ebbe nessun figlio. Mata Ganga Ji era molto triste al riguardo, soprattutto quando le veniva ricordata questa mancanza e un giorno il marito le disse che se voleva un figlio, doveva richiederlo al loro fedele Budha Ji. Il giorno seguente la donna ordinò ai servi di preparare una carrozza e dei piatti prelibati. Quando arrivò finalmente a Ber Sahib, dove risiedeva Baba Ji, quest’ultimo si rifiutò di riceverla. Lei tornò a casa e riferì l’accaduto al Maestro, il quale le consigliò di andare al cospetto dell’anziano con umiltà.
La donna, consapevole del proprio errore, il giorno dopo percorse le 10-12 miglia del tragitto a piedi e portò con sé del modesto cibo cucinato con le proprie mani. Baba Ji la incontrò con gioia e accettò con piacere il cibo. Prese una cipolla e cominciò a romperla mentre pronunciava le seguenti parole: “Donna, tuo figlio sarà forte e batterà i propri nemici con la stessa facilità con cui io rompo questa cipolla. I suoi avversari tremeranno anche solo ad udirne il nome”.
Mata Ganga Ji, rincuorata dalla gioia, provò piacere nel tornare a casa a piedi e da quel giorno in poi si dedicò a fare sewa ogni giorno, finché la profezia non si avverò. Quando suo figlio nacque, nel 1595, Baba Ji venne a vedere il piccolo ed ebbe l’onore di nominarlo Hargobind per poi assumersi la responsabilità di seguirlo negli anni e occuparsi della sua formazione in ogni campo.
Nel 1601 la costruzione del Tempio d’Oro era completata e nel 1604 vi fu trasferito il Testo Sacro “Guru Granth Sahib Ji”. Il primo lettore (Granthi) delle Sacre Scritture fu proprio Baba Budha Ji.
Il 15 maggio 1606 l’imperatore Jahangir ordinò la cattura del quinto Maestro, il quale dovette recarsi a Lahore: prima di andare egli si confidò con Baba Budha Ji e gli riferì di occuparsi delle attività del Tempio e mantenerne l’organizzazione sotto il proprio controllo. Gli disse di nominare Maestro Hargobind quando lui stesso avrebbe mandato l’ordine.
Il 30 maggio 1606 Guru Arjun Dev Ji venne ucciso dopo essere stato torturato, in quanto si rifiutò di aggiungere delle lodi di Maometto al Libro Sacro. Baba Budha Ji ricevette l’ultimo volere di Guru Arjun Dev Ji tramite Bhai Jetha Ji, Perha Ji, Mekha Ji, Langah Ji e Bidhi Ji: i cinque fedeli gli comunicarono di avviare la cerimonia per nominare il successivo Maestro e così si procedette.
Questa volta Hargobind volle indossare due spade che gli vennero affidate da Baba Ji: una rappresentava il potere temporale, Miri, mentre l’altra quello spirituale, Piri. Il devoto supportò le parole del nuovo Maestro, affermando che a questo punto era divenuto indispensabile difendere gli ideali della religione e la giustizia con l’uso della forza, che ormai era necessaria per salvaguardare i propri diritti di fronte alle ingiustizie imperiali. Questo discorso si trattenne nello stesso luogo dove in seguito sarebbe sorto il Trono del Senza Tempo, l’Akal Takht, di fronte al Tempio d’Oro.
Al tempo Baba Ji aveva oltre cento anni, ma continuava costantemente a eseguire il proprio dovere, inoltre aveva raggiunto un tale livello di saggezza che ogni parola da lui pronunciata diventava profezia.
All’età di dodici anni il Maestro cominciò ad addestrarsi insieme ai devoti e ordinò che invece di fondi, venissero donati armi e cavalli di buona stazza. Baba Ji aiutò il proprio Maestro nella missione gestendo oltre alle armi, anche gli uomini a disposizione. Nel giro di due anni lo aiutò a munirsi di un esercito imbattibile, ma soprattutto affidabile.
Nel frattempo erano stati intrapresi i lavori per innalzare un Tempio che fosse anche la “corte” del Guru e che rimanesse intatto nel tempo insieme al suo valore; il volere del Maestro era che quest’Akal Takht diventasse luogo di raduno anche in futuro e diventasse una corte di giustizia per chiunque ne avesse bisogno.
Anche la prima pietra di questo edificio venne posta dal Sikh più importante ed anziano del Tempio, ovvero Baba Budha Ji.
Intanto le acque nel territorio nemico si erano calmate un po’ in seguito al martirio di Guru Arjun Dev Ji, ma alla notizia che in Panjab il nuovo Maestro si stava fornendo di truppe e armi, l’Imperatore Jahangir ordinò l’arresto di Guru Hargobind e lo scioglimento della sua guardia. Il sovrano non poteva tollerare la sua politica di ordine militare e di conseguenza lo fece imprigionare nella fortezza di Gwalior.
Quest’ultimo partì e comandò a Baba Ji di calmare l’animo degli altri Sikh, in particolare di Mata Ganga Ji, la quale si stava disperando nel veder partire prima marito e poi figlio. Baba Ji rassicurò la donna e ogni sera riuniva tutti i discepoli al Tempio per cantare insieme Inni sacri e pregare, per poi fare Parkarmaa intorno ad Harmandir Sahib: il Maestro aveva promesso che chiunque avesse voluto vederlo avrebbe dovuto partecipare a questo rito.
Infine Mata Ganga Ji costrinse Baba Ji ad andare a Delhi e ideare un piano per liberare suo figlio. Baba Ji assieme a numerosi fedeli si presentò al Forte di Gwalior richiedendo incessantemente la liberazione del Guru. Molte persone appoggiarono il Sikhismo e l’eventualità di un colpo di stato si sarebbe potuta presentare da un momento all’altro, nel caso in cui il Guru non fosse stato liberato al più presto. Nello stesso momento cinquantadue sovrani indù erano detenuti delle prigioni del Forte di Gwalior e oppressive erano le politiche adottate da Jahangir nei confronti della maggioranza della popolazione. Egli si trovò quindi costretto a ordinare la scarcerazione della massima autorità Sikh al fine di salvare il trono.
Al momento della sua liberazione Guru Hargobind stabilì la condizione secondo la quale avrebbe lasciato il Forte solo a patto che tutte le persone recluse fossero liberate. Egli condusse quindi tutti e cinquantadue prigionieri fuori dal Forte di Gwalior, restituendo loro lo status di uomini liberi.
Erano passati 113 anni da quando Baba Budha Ji aveva deciso di avventurarsi in quella vita come discepolo di Guru Nanak Dev Ji e sentiva che anche la sua fine era vicina, per cui chiese a Guru Hargobind Ji di poter andare a trascorrere qualche periodo nel villaggio dove aveva vissuto la propria infanzia.
A Ramdas meditò e a mano a mano che la morte si avvicinava, egli chiese al figlio più piccolo, Bhai Bhana Ji, di condurre Hargobind Sahib Ji fino al villaggio poiché voleva che il suo Maestro gli fosse a fianco quando avrebbe esalato l’ultimo respiro. Il ragazzo mandò a chiamare anche i suoi fratelli che vivevano separatamente.
Moltissime persone si radunarono dopo aver saputo dell’imminente morte di Baba Ji e quando finalmente il Maestro lo raggiunse, gli confidò di avere un ultimo desiderio: egli voleva per l’ultima volta inchinarsi davanti alla sua figura. Guru Ji ribatté che l’avrebbe fatto contro il suo volere e avanzò quindi il piede destro, che Baba Ji afferrò con calore e amore; in questa posizione pronunciò le ultime parole ringraziando per la vita che gli era stata concessa e l’occasione di servire sei Maestri, di aver avuto l’opportunità di guadagnarsi il ricongiun-gimento della propria anima con l’Eterno Creatore.
Il 16 novembre 1631, all’età di 125 anni, Baba Budha Ji lasciò questo mondo e Guru Hargobind Ji si prese l’incarico di svolgere di persona tutti i riti richiesti durante la cremazione. Per questo motivo egli sostò nel piccolo villaggio di Ramdas per diciassette giorni, insieme ad altri fedeli riunitisi per l’occasione.
È importante a questo punto ricordare come, durante tutte le cerimonie per nominare gli altri Guru, l’applicazione di Tikka è sempre avvenuta a mano di nipoti e pronipoti di Baba Budha Ji.
Questa figura ha acquisito nel tempo sempre maggiore stima perché un esempio unico che mostra l’importanza di sewa nella vita di un sikh, indispensabile per elevarsi spiritualmente ed essere più vicini all’Onnipotente.