IL SECOLO DELLE GUERRE MONDIALI IN ITALIA
Le alleanze del territorio d'Italia e del suo popolo con l'Inghilterra e gli inglesi sono antiche, profonde e varie. La fortuna di molti dei nostri nordici li condusse in un modo o nell'altro in questo paese meridionale e li abituò alla propria eredità classica. Questa tradizione di viaggi e soggiorni erano precedentemente legati con la ricreazione e gli inseguimenti e gli studi dei tempi di pace. Nella prima metà del XX secolo quest’andamento della vita fu interrotto, e per la prima volta divenne la prassi dei britannici comparire in Italia come combattenti. Che poi si realizzò, attraverso il Regno, in una serie di battaglie e i luoghi dove avvennero tutte queste battaglie oggi sono presenti i cimiteri del Commonwealth.
Al fine che la natura e il significato pieno di questi cimiteri dispersi possa essere più facilmente compreso, una cronaca succinta della guerra in Italia dal punto di vista delle forze del Commonwealth è presente qui. Essa ci ricorda la contesa, ostinata ed intensa per le posizioni chiave, e come queste si alternavano con marce e movimenti su larga scala.
Roma fu presa dagli Alleati il 6 giugno 1944, ma la campagna italiana durò undici mesi in più. Quelli che morirono in Italia durante questi mesi sono sepolti in 26 cimiteri di guerra nel centro e nel nord Italia. I cimiteri, in base alla loro ubicazione, mostrano il corso della campagna. A nord di Roma, il primo che troviamo è il Cimitero di Guerra di Bolsena, poi quello di Orvieto cimitero e infine quello di Assisi, nei pressi della zona del primo arresto effettuato dai tedeschi dopo la loro ritirata da Roma.
Più a nord, i cimiteri di guerra di Arezzo e Foiano della Chiana mostrano il posto in cui i tedeschi fecero un altro stand. Firenze, il centro della linea di Arno e il punto da cui partì la campagna invernale dell'Appennino, ha un cimitero di guerra, il Cimitero di Guerra di Firenze, nei pressi del fiume Arno. Sulle difficili rotte attraverso le montagne sono collocati il cimitero Sudafricano di Castiglione e quello della Valle del Santerno. Il progresso dell’Ottava Armata su per la costa adriatica è marcato da un cimitero ad Ancona, e poi da un gruppo di necropoli che vanno dalla provincia di Pesaro ad appena al di là di Ravenna: Cimitero di guerra di Montecchio, Gradara, Coriano, Rimini, Cesena, Meldola, Forlì e quello dell’esercito Indiano sempre di Forlì, Faenza, Ravenna, e quello Canadese di Villanova. Infine nella zona dello sfondamento nella primavera del 1945 si trovano i cimitero di guerra di Argenta e Bologna. Tra le città del nord, Milano, Genova e Padova hanno cimiteri di guerra, e uno anche a Udine, nel nord-est, non lontano da alcuni cimiteri di guerra del 1914-18.
Tutti questi cimiteri contengono sepolture riunite in essi da una notevole area di battaglia, alcuni, tuttavia, furono proprio cimiteri di campi di battaglia e sono il cimitero di Argenta, cimitero Sudafricano di Castiglione, Foiano della Chiana, Meldola, Montecchio, Valle del Santerno, Ravenna, cimitero Canadese di Villanova ed infine quello di Orvieto.
Campagna D’Italia Della Seconda Guerra Mondiale
Dopo avere occupato nel giugno del 1943 Pantelleria e Lampedusa, il 10 luglio tre divisioni americane, una canadese e tre inglesi sbarcarono in Sicilia.
La notte del 9 luglio la 7a armata statunitense, al comando del gen. George S. Patton, e l'ottava armata inglese del gen. Bernard Law Montgomery, a bordo di circa 3000 natanti, salpano dai porti della Tunisia alla volta della Sicilia (le due armate fanno parte del XV Gruppo di armate comandato dal gen. Alexander). La difesa della Sicilia è affidata alla 6a armata italiana del gen. Alfredo Guzzoni, in cui militano agguerriti contingenti tedeschi di rinforzo. Nella notte truppe aviotrasportate sono lanciate sulle zone sud- orientali dell’isola in cui è previsto lo sbarco anglo-americano, ma il vento impetuoso (che raggiunge forza 7), la scarsa visibilità e la poca esperienza di lanci notturni rendono davvero inutile questo primo tentativo di attacco aviotrasportato. 13400 paracadutisti del colonnello americano James M. Gavin comandante l’ottantaduesima divisione aviotrasportata, finiscono con il disperdersi su un’area vastissima rendendo scarsamente efficace l’intervento. Intanto la navigazione delle unità che trasportano le forze da sbarco prosegue tra gravi difficoltà: il vento impetuoso e il mare agitato mettono a dura prova i fanti alleati.
Alle prime luci dell’alba del 10 luglio, inizia lo sbarco alleato sull’isola (operazione “Husky”): 160.000 uomini con 600 carri armati mettono piede sulla costa sud-orientale della Sicilia, gli americani della 7a armata nel Golfo di Cela (tra Licata e Scoglitti), gli inglesi dell’ottava armata di Montgomery nel Golfo di Siracusa, tra il capoluogo e Pachino. Gli sbarchi avvengono senza troppe difficoltà grazie al preciso e intenso fuoco di copertura delle navi e perché i difensori non si aspettano uno sbarco in quelle condizioni meteorologiche (in effetti, non meno di 200 mezzi da trasporto sono messi fuori combattimento per effetto della violenta risacca): durante le operazioni, caccia anglo-americani decollati da Malta e Pantelleria sorvolano in formazione i punti dello sbarco per respingere eventuali contrattacchi dell’Asse. Mentre l’ottava armata inglese non trova praticamente resistenza e i suoi reparti nella notte entrano a Siracusa, gli americani della 1° divisione e i Rangers, una volta conquistata Gela, devono affrontare i vigorosi contrattacchi della divisione tedesca Hermann Goring e della italiana Livorno. Gli scontri termineranno solo alle quattordici del 12 luglio, con la ritirata degli italo-tedeschi. Alla fine gli americani catturano 18.000 prigionieri ma perdono, tra morti e feriti, un migliaio di uomini.
La conquista della Sicilia da parte degli Alleati sarà completata in trentanove giorni, il 17 agosto del 1943, con l'occupazione di Messina e la ritirata delle truppe italo-tedesche in Calabria.
8 settembre 1943, una data fatidica per l'Italia. La data dell'annuncio dell'armistizio con gli Alleati e della fine dell'alleanza militare con la Germania, ma anche la data della dissoluzione dell'esercito italiano e della cattura di centinaia di migliaia di militari, a causa della mancanza di precise disposizioni da parte dei Comandi militari. La data dei primi episodi di Resistenza contro i tedeschi (a Roma, a Cefalonia, a Corfù, in Corsica, nell'isola di Lero), ma anche la data della frettolosa fuga del Re e dei membri del governo Badoglio a Brindisi (senza un piano di emergenza e senza disposizioni ai militari), che però servì ad assicurare la continuità dello Stato italiano nelle regioni liberate del Sud. Sempre l’8 settembre, una poderosa forza navale alleata puntava minacciosa verso il golfo salernitano. Salerno, quel giorno, era stata colpita dall'ennesimo bombardamento. Da molte settimane subiva continue incursioni aeree ed era ormai ridotta a un cumulo di rovine.
La gente bivaccava nelle gallerie e nelle cantine, affamata e senza speranza. Improvvisamente, alle 19,45, anche fra la popolazione di Salerno giunse la voce del maresciallo Badoglio che annunciava l'armistizio. La guerra era dunque finita? La gente pensò che fosse così e usci dai rifugi. L'illusione durò poco: la comparsa delle navi all'orizzonte spinse i salernitani a rintanarsi di nuovo.
A bordo delle 463 unità che erano salpate dai porti dell'Algeria e della Sicilia i 100.000 soldati inglesi e i 70.000 americani che componevano il corpo da sbarco affidato al comando del generale americano Mark Clark vivevano le ore di tensione che sempre precedono l'inizio delle operazioni.
Tutti a bordo, compresi gli ufficiali, erano completamente all'oscuro di quanto era accaduto in quei giorni. Ignoravano che l'armistizio con l'Italia era stato segretamente firmato il 3 settembre, e ignoravano che sarebbe stato reso pubblico entro poche ore. Erano tutti convinti che lo sbarco abbia incontrato la tenace resistenza degli italiani e dei tedeschi. Tutto a un tratto però la tensione che regnava a bordo fu infranta da una comunicazione radiofonica. Alle 18,30, mentre l’operazione "Avalanche” è in pieno svolgimento con i convogli alleati in vista di Salerno (da una settimana la costa campana è sottoposta a intensi attacchi in preparazione dell’invasione), da Algeri il gen. Eisenhower comunica la notizia dell’armistizio intervenuto tra gli Alleati e gli italiani. Ecco il testo del breve annuncio: "Qui è il Generale Eisenhower. Il governo italiano si è arreso incondizionatamente a queste forze armate. Le ostilità tra le forze armate delle Nazioni Unite e quelle dell’Italia cessano all’istante. Tutti gli italiani che ci aiuteranno a cacciare il tedesco aggressore dal suolo italiano avranno l’assistenza e l’appoggio delle nazioni alleate”.
Un analogo annuncio è fatto alla radio italiana alle 19,45 dal capo del governo maresciallo Pietro Badoglio. Il messaggio al popolo italiano così si conclude: “...Esse [le forze armate italiane] però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”.
La notizia, del tutto inattesa, provocò grandi manifestazioni di gioia. I soldati esultanti ballavano sui ponti. La guerra con l'Italia era finita! Nessuno pensava più ai pericoli. Tutti erano convinti che, invece di una battaglia, a Salerno ci sarebbe stata ad attenderli una folla in festa. Alle 3,30 di mattina del 9 settembre il gen. Mark Clark diede il via all’operazione “Avalanche”.
La prima divisione aerotrasportata s’impadronì di Taranto senza incontrare resistenza. Intanto 55.000 uomini delle truppe anglo-americane sbarcarono nel Golfo di Salerno, coperti da una forza navale che disponeva complessivamente di 4 corazzate, 7 portaerei, 11 incrociatori e alcune decine di caccia, oltre ad unità di scorta e minori. I soldati presero terra con relativa facilità e senza contrasti, ma improvvisamente, con loro grande sorpresa, incontrarono la reazione tedesca.
Nelle quarantotto ore seguite allo sbarco, gli Alleati riuscirono a travolgere le difese germaniche e a spingersi verso l'interno. La resistenza tedesca era stata debole, il generale Clark poteva essere soddisfatto. Il suo ottimismo forse eccessivo riguardo allo sbarco ora si rafforzava perché gli avvenimenti sembravano giustificarlo. Le navi potevano tranquillamente scaricare carri armati e automezzi. I rinforzi riuscivano ad affluire regolarmente sulla spiaggia.
Intanto l'artiglieria tedesca taceva e la Luftwaffe sembrava essere scomparsa. Proseguendo l'avanzata, gli Alleati occuparono l'aeroporto di Montecorvino e badarono a riattivare la pista. La battaglia sembrava ormai vinta. I tedeschi si ritiravano o si arrendevano. A tre giorni dallo sbarco gli Alleati controllavano una testa di ponte lunga 100 chilometri e profonda 10. Improvvisamente però, la mattina del 12 settembre, la situazione registrò un drammatico mutamento: i tedeschi scatenarono il contrattacco. Truppe fresche e bene armate attaccarono di sorpresa il settore Nord travolgendo i presidi dei commando britannici. Poche ore dopo, la controffensiva, condotta con estrema violenza, si estese a tutto l'arco del fronte. Le truppe tedesche giunte di rinforzo erano le divisioni che Kesselring era stato costretto a trattenere a Roma in vista di un secondo sbarco e per superare l'accanita, ma non coordinata resistenza delle truppe italiane a Porta S. Paolo. Ora che si era assicurato il completo controllo della capitale italiana, poteva scaraventarle contro le truppe alleate.
Sotto l'urto delle forze tedesche, l'intero schieramento anglo-americano vacillò. La ritirata fu generale. Molti reparti si sbandarono. Molti prigionieri furono catturati. Posizioni strategiche importanti come Battipaglia e Altavilla furono riconquistate. Durante questa controffensiva i tedeschi si sentirono molto vicini alla vittoria. Intanto la situazione si era fatta disperata. Il generale Clark aveva ormai perduto il suo ottimismo, e insistette per l'invio di rinforzi. A questo punto, per contrastare l'avanzata tedesca fu deciso l'impiego della divisione paracadutisti Airborne. Si trattavano di paracadutisti americani che dovevano essere lanciati su Roma. Rimasti inoperosi all'aeroporto di Licata, essi furono ora lanciati nelle retrovie per colpire e disorganizzare i movimenti del nemico. Neppure l'intervento dei paracadutisti modificò la situazione: i tedeschi continuarono vittoriosamente l'avanzata e le loro avanguardie giunsero in vista del mare. Fu a questo punto che il maresciallo Alexander, comandante in capo delle forze alleate del Mediterraneo, decise di risolvere la drammatica situazione ordinando l'intervento della squadra navale. Per la prima volta la marina fu impegnata in una battaglia campale. Il 14 settembre una potente squadra da battaglia lasciò Malta diretta verso Salerno. Ne facevano parte anche le corazzate Warspite, Valiant, Nelson e Rodneu armate con cannoni da 381 mm. Contemporaneamente, stormi di bombardieri pesanti furono lanciati sulla costa salernitana a seminare rovina e distruzione nelle retrovie tedesche.
Quest’attacco segnò l'inizio della controffensiva alleata. I danni furono enormi. Anche per la popolazione civile che da una settimana si trovava costretta a vivere in prima linea. Ai fini della battaglia fu soprattutto decisivo il bombardamento navale. Spingendosi quasi al limitare della costa, le navi assolsero il compito che normalmente compete alle artiglierie. Il loro tiro era estremamente preciso. Le loro bordate distrussero ora postazioni tedesche, ora interi centri di abitazioni civili. Una vera valanga di fuoco si abbatté sul Salernitano. Grazie a un nuovo sistema di segnalazione, le truppe alleate potevano chiedere direttamente l'appoggio dell'artiglieria navale come se si trattasse di batterie terrestri. Le postazioni tedesche furono centrate a una a una.
Due giorni dopo, il 16, Kesselring ordinò alle sue truppe di ritirarsi verso nord «per sottrarsi all'efficace bombardamento da parte delle navi da guerra». Per gli anglo-americani la via di Napoli era aperta. «Se a Salerno» commenterà Alexander a operazione conclusa «la marina e l'esercito non avessero potuto disporre della superiorità, lo sbarco sarebbe fallito.» Avalanche fu dal punto di vista militare un successo, anche se politicamente e strategicamente non raggiunse gli obiettivi che erano stati prefissati, ossia l'immediata liberazione di Napoli e la rapida avanzata su Roma. Per liberare Roma occorrerà aspettare circa nove mesi e per percorrere i 54 km che dividono Salerno da Napoli, gli Alleati impiegheranno ventidue giorni.
Che il Volturno fosse un passaggio decisivo nella campagna d'Italia era ben chiaro agli estensori dell'Operazione "Avalanche" o sbarco di Salerno. Infatti, caduta l'ipotesi dello sbarco nella piana del Volturno, il Comando alleato aveva deciso di lanciare, contemporaneamente allo sbarco di Salerno, l'ottantaduesima Divisione aviotrasportata statunitense lungo il Volturno con il compito di distruggere tutti i ponti da Capua al mare e impedire così l'invio di rinforzi tedeschi verso Salerno.
Il Generale Castellano, negoziatore dell'armistizio per conto di Badoglio, preoccupato "che i tedeschi occupassero Roma e catturassero la famiglia reale ed i membri del governo" (Blumenson), chiese invece che il lancio della 82a Divisione paracadutisti avvenisse nei pressi di Roma. Era così ipotizzato dal Comando alleato un piano battezzato "Giant Two". Però "questa operazione poteva riuscire alla sola assoluta condizione che le truppe italiane, acquartierate nella capitale e nelle sue immediate vicinanze, si unissero con cronometrica puntualità (nel testo: sur l'heure) ai paracadutisti alleati nello scontro con i tedeschi". La delicatezza dell'operazione consigliò il Comando alleato di effettuare una verifica sul campo. Il Generale Taylor e il Colonnello Gardiner furono così inviati in missione segreta a Roma e "costatarono che la realtà era del tutto diversa dal quadro disegnato dal generale Castellano". L'esercito italiano, essi costatarono, si era persino lasciato "requisire (dal comando tedesco) le munizioni e i depositi di benzina... era dunque illusorio contare su un minimo appoggio delle unità italiane"'. Sull'altare dell’incolumità dei Savoia era così sacrificata la liberazione di Roma. E così la liberazione della Penisola divenne più lenta e cruenta. Sulla più valida utilizzazione del Volturno nelle rispettive strategie discutono tedeschi e alleati. Ed è proprio all'arrivo sul Volturno, il 7 ottobre, che gli alleati hanno la conferma che nella campagna d'Italia i tedeschi non si sarebbero limitati ad una "azione ritardatrice".
Kesselring inizia l'elaborazione di vari piani, da rendere esecutivi secondo l'evolversi della situazione, già a fine agosto del 1943, secondo le indicazioni di Hitler che, ricevendolo il 23 agosto a Rastenburg, lo aveva invitato a "prepararsi a fronteggiare i peggiori eventi". E già il 10 settembre era deciso a resistere su una linea (la famosa linea Reinhard) che aveva il suo centro su Monte Mignano oppure su una linea che andasse dal Garigliano a Cassino e che poi chiamò Gustav. E nella realizzazione di quel piano ha ricevuto un decisivo contributo sia dal generale Vietingoff che diresse le operazioni di ritirata da Salerno in modo magistrale e sia dalla avanzata degli alleati talmente lenta da sbalordire lo stesso Kesselring.
Il Volturno, dunque, diviene il punto decisivo per la realizzazione dell'intero piano tedesco. Il Volturno ha però un'importanza non inferiore nel piano elaborato dagli alleati per raggiungere gli obiettivi previsti dallo sbarco di Salerno: avere a disposizione il porto di Napoli e gli aeroporti della Campania, necessari per la campagna d'Italia.
Già il giorno 5 ottobre alcuni reparti della 23a Brigata corazzata avevano raggiunto il Volturno, ma il 6° Corpo d'Armata americano ed il 10° Corpo d'Armata britannico raggiungono le posizioni loro assegnate lungo il fiume solo la mattina del 7. Esse si trovano di fronte "una barriera impenetrabile" lungo il fiume resa più aspra dalle caratteristiche del terreno sia pianeggiante sia collinare. Nella zona interna strade strette e con tornanti, colline irte e rapidi torrenti consentono una facile difesa e una difficile azione offensiva. Per aggirare tutti questi ostacoli il Comando alleato aveva anche ipotizzato attacchi anfibi e operazioni aviotrasportate ma numerose appaiono subito le difficoltà di attuazione, dalla scarsa disponibilità di uomini e mezzi. Si aggiunge la pessima situazione atmosferica: i continui temporali rendono ancora più difficile la realizzazione delle varie ipotesi, anche se gli alleati sono consapevoli che il tempo non gioca a loro favore.
Il 9 ottobre il Generale Clark elabora un nuovo piano. Esso prevede un attacco coordinato che si estenda lungo tutto il corso del Volturno, da realizzarsi contemporaneamente durante la notte del 12 ottobre, in modo da tener divise le forze nemiche e da realizzare il maggior numero possibile di attraversamenti del fiume. L'obiettivo è di raggiungere quella che gli alleati indicano ormai la "linea d'inverno", che avrebbe garantito la sicurezza delle retrovie intorno a Napoli.
La decisione di un attacco simultaneo lungo tutto il corso del Volturno è stata ritenuta dai tedeschi la ragione del successo della V Armata sul Volturno. Si legge infatti, in un documento del X Corps tedesco, che il passaggio del Volturno fu più rapido del previsto perché il nemico abbandonò la tattica fino allora seguita, quella cioè di percorrere le direttici delle grandi strade di comunicazione, e scelse invece di penetrare "attraverso colline scabrose e regioni cespugliose", minacciando così alcuni nuclei tedeschi di rimanere accerchiati. Tale preoccupazione determina grande incertezza tra le truppe tedesche e proprio questa preoccupazione spinge i reparti tedeschi ad abbandonare le proprie posizioni.
Non va sottovalutata, per l'esito della battaglia del Volturno, l'azione condotta con successo dalla 45a Divisione americana comandata dal Generale Middleton. Proveniente da Benevento, attraverso la valle del Calore, il 13 ottobre reparti di questa Divisione strappa ai tedeschi il Monte Acero, "caposaldo della linea di difesa tedesca sul Volturno", impegnando per le intere giornate del 12 e del 13 forze che avrebbero potuto essere spostate là dove le truppe americane stavano forzando il passaggio principale.
Sulle quindici miglia del corso del fiume, da Triflisco alla confluenza del Calore nel Volturno, il Generale Lucas aveva schierato due Divisioni: la 3a e la 34a.
L'inizio dell'azione spettava alla 3a Divisione che si trovava di fronte due gruppi collinari: la cima di Triflisco e la forca Caruso. Sulla destra di quest'ultimo, sollevandosi dalla pianura, vi sono due colline solitarie, Monticello e Mesorinolo, dalle quali poteva partire un attacco al fianco destro delle avanguardie. L'obiettivo più ovvio era certo la cima di Triflisco, che avrebbe aiutato anche le truppe britanniche a superare il Volturno nella zona di Capua. Il Generale Truscott, al Comando della 3a Divisione, decide di programmare invece un attacco finto nella direzione di Triflisco, mentre concentra lo sforzo dei suoi Battaglioni direttamente su forca Caruso, cercando di coprirsi però sulla sua destra. E, per nascondere il vero obiettivo, tiene nascosta l'artiglieria, utilizzandone solo una parte.
Il I Battaglione del XV Fanteria, sostenuto dalle armi pesanti del XXX Fanteria, doveva fingere l'assalto sulla cima di Triflisco, mentre il II Battaglione del XXX Fanteria doveva prepararsi ad attraversare il fiume qualora si fossero registrati cedimenti nello schieramento tedesco. Il VII Fanteria intanto, coperto da una cortina fumogena, doveva passare il fiume al centro della pianura puntando concretamente su Monte Caruso. A destra due Battaglioni del XV Fanteria dovevano, superato il fiume, occupare Monticello e Monte Mesorinolo e, da lì, puntare, verso la cima orientale del Caruso. La 34a Divisione proveniente da Montesarchio doveva garantire il fianco.
A mezzanotte del 12 ottobre ha inizio la finta operazione di attacco su Triflisco. Alle 0,55 del 13 l'Artiglieria della Divisione inizia un bombardamento su tutta la linea del fronte ad essa assegnato, mischiando agli esplosivi proiettili fumogeni per coprire l'intera zona dal chiarore della luna piena. In tal modo i soldati tedeschi, pur consapevoli che quella notte ci sarebbe stato il tentativo di superamento del fiume, non sarebbero riusciti a individuare dove esso sarebbe avvenuto. Alle due gli uomini del VII Fanteria iniziano il guado del fiume per ancorare le funi di guida sull'argine Nord.
È, una dura battaglia anche contro il clima avverso. Le piogge torrenziali dei giorni precedenti hanno reso fangosi e sdrucciolevoli gli argini. La corrente rende molto difficile il controllo delle imbarcazioni leggere. Le radici degli alberi, indebolite dal maltempo, non reggono le funi di guida. Il passaggio del fiume procede perciò con eccessiva lentezza. L'ultimo battello americano è colpito in pieno dall’Artiglieria tedesca che, con le prime luci dell'alba, riesce finalmente a individuare la zona del passaggio.
Utilizzando la protezione dell'alveo di un piccolo tributario del Volturno, gli uomini del I Battaglione raggiungono la Statale 87. Qui costituiscono un punto di fuoco per permettere agli altri due Battaglioni impegnati nell'azione di affrontare la conquista del Caruso. Alle otto è ordinato ancora fuoco di artiglieria sulle pendici, e alle 12 le avanguardie americane sono già sulla cima occidentale del monte, mentre gli uomini del II e del III Battaglione consolidano il possesso del terreno conquistato.
L'intercettazione di un messaggio tedesco che annuncia l'organizzazione di un contrattacco imminente fa accelerare il passaggio dei mezzi corazzati oltre il fiume. Il terreno, là dove le ruspe non avevano potuto, viene spalato a mano dai genieri. Così, poco dopo le undici, il primo carro armato americano si arrampica sull'argine Nord del fiume.
Nel pomeriggio anche la parte orientale di Forca Caruso è conquistata e di lì si avvia la pressione sulla cima di Triflisco ancora nelle mani dei tedeschi. Due tentativi di attraversamento del fiume, dalle colline del Tifata, falliscono. Quando però, durante la notte del 13, le avanguardie del XXX Fanteria attraversano il fiume e cominciano a salire la collina, si accorgono che i tedeschi si erano già ritirati.
Per il Generale tedesco Vietingoff "l'attacco programmato magistralmente ed eseguito con determinazione" dalla III Divisione americana è stata "l'azione chiave" della battaglia del Volturno.
Lo sbarco ad Anzio rappresentava la soluzione strategica per sbloccare l'impasse di Cassino e raggiungere al più presto Roma. La manovra strategica doveva essere condotta dal Gruppo di Armate. L'ottava Armata Britannica doveva attaccare e avanzare sul versante adriatico; la Quinta Armata doveva attaccare il fronte di Cassino per fissare le forze tedesche in linea e impegnare le riserve. In contemporanea il VI Corpo d'Armata USA, posto al Comando del gen. John Lucas, doveva sbarcare ad Anzio. Presa terra, sfruttando la sorpresa, doveva avanzare rapidamente verso l'interno e doveva tagliare le linee di alimentazione tedesche tra Roma e Cassino, isolando e quindi costringendo alla resa o alla ritirata la 10a Armata Tedesca. Qualsiasi risultato fosse stato conseguito sicuramente gli Alleati si sarebbero trovati a sud di Roma e soprattutto sganciati dalle posizioni di Cassino, e quindi abbandonare la guerra di posizione e iniziare quella di movimento, dove la loro superiorità logistica avrebbe fatto sentire tutto il suo peso. L'operazione, denominata "Shingle" fu un totale fallimento. Il 22 gennaio iniziarono ad Anzio e Nettuno e nelle prime dodici ore furono sbarcati cinquanta mila uomini con tutto il loro equipaggiamento.
Ad Anzio fu un fallimento. Lo sbarco tatticamente riuscì: nella prima giornata furono sbarcati oltre 36.000 uomini e 18.000 autoveicoli ruotati e cingolati.
La sorpresa per i tedeschi fu totale. La decisione del Gen. Lucas di attendere rinforzi e trincerarsi sulle spiagge permise però ai tedeschi di reagire e bloccare gli alleati in una testa di ponte profonda solo 11 km e larga 24.
Lucas anziché puntare all'interno si trincerò sulle spiagge (si impose la sindrome di Salerno). Non si arrischiò neppure di tentare una ricognizione in forze. I tedeschi colti completamente di sorpresa reagirono con estremo vigore. Misero in piedi una 14a Armata, posta al Comando di Hans Georg von Mackensen. Inizialmente riuscì a contenere le forze di Lucas, poi, organizzatisi, riuscì a incapsulare le forze sulla testa di ponte. Il 3 febbraio i tedeschi sferrarono un primo contrattacco, cui seguirono altri attacchi per tutto il mese di febbraio. Il 16 febbraio 1944 (il giorno prima gli Alleati bombardarono l'Abbazia di Montecassino) von Mackensen addirittura riuscì a lanciare un contrattacco che si protrasse fino al 19 febbraio e fu sul punto di ricacciare le forze alleate in mare.
Il 23 febbraio Lucas veniva rimpiazzato dal gen. Truscott ma ormai la situazione operativa era compromessa e non più 16
risolvibile in breve tempo. Fino a maggio, le forze contrapposte, in stallo, si fronteggiarono senza incidere sul quadro strategico. Occorrerà conquistare Cassino, per sbloccare la situazione, assurda dal punto di vista tattico per gli Alleati, di Anzio.
Per conquistare Cassino gli alleati sferrarono tre battaglie, dal 15 gennaio al 10 maggio 1944, di cui solo l'ultima ebbe successo. Le prime due furono una somma di errori e d’incertezze che costarono, portarono a fallimenti e delusioni, in cui la capacità e la professionalità dei comandanti alleati ne escono con molti dubbi e ombre. Al termine della seconda fase della battaglia (25 marzo) la città di Cassino era ridotta a un cumulo di macerie, non rimaneva nulla della sua vecchia fisionomia. Solo dopo la terza fase della battaglia (maggio 1944), con numerose perdite dall'una e dall'altra parte, gli Alleati riuscirono a impadronirsi della zona segnando la fine di un incubo. Il 25 maggio le truppe provenienti da Cassino si incontrarono presso Littoria con quelle sbarcate ad Anzio e il 4 giugno entrarono in Roma.
La parola “segreta” era "Elefante". Questa volta, a differenza dai tempi dell’invasione cartaginese, l’elefante non arrivava come nemico. Significava che gli alleati stavano per liberare Roma. L’elefante amico. La radio alleata trasmise la parola "elefante" alle 23,15 del 3 giugno 1944. Le retroguardie tedesche lasciarono Roma la mattina del 4 giugno, mentre gli ultimi prigionieri di via Tasso erano liberati dalla popolazione e la palazzina del boia Kappler era saccheggiata. L’esercito di Clark inondò Roma nelle prime ore del pomeriggio incontrando le prime folle festanti nelle periferie della via Prenestina, della via Casilina, della via Appia, e nelle borgate di Tor Pignattara e Centocelle, dove i fascisti e i tedeschi nelle ultime settimane non avevano osato più passare né di giorno né di notte per paura dei partigiani.
I sentimenti di un popolo che aveva vissuto una terribile notte durata nove mesi non erano molto diversi da quelli dei soldati che dall’inverno avevano sostenuto durissime battaglie sui fronti di Cassino e di Anzio. Solo negli ultimi ventitré giorni, la quinta e la settima armata erano riuscite a scardinare la linea Gustav, si erano aperte, attraverso i monti Aurunci, la strada per i 17
Castelli Romani, e unendosi alle truppe sbarcate quattro mesi prima ad Anzio, avevano dato l’ultima spallata al generale Kesselring, che, annidato nelle caverne del monte Soratte, inviava al macello i suoi battaglioni. Roma, la prima capitale europea liberata, era un simbolo per i soldati alleati come lo era per tutti gli italiani.
Il 25 aprile 1945 i partigiani liberano Milano dall’occupazione dei nazisti e dai fascisti. Anche la popolazione civile insorge e vaste zone dell’Italia settentrionale - e molte città - sono liberate prima dell’arrivo delle truppe anglo-americane che, dopo aver superato l’ultimo ostacolo della Linea Gotica in Toscana, incalzano le truppe tedesche in ritirata nella pianura Padana. In Europa, intanto, l’Armata Rossa sovietica dilaga in territorio tedesco e giunge alle porte di Berlino mentre gli anglo-americani, dopo lo sbarco in Normandia, avanzano attraverso il Belgio; Hitler, di fronte alla disfatta, si toglie la vita nel suo bunker. Più di cinque anni dopo l’invasione tedesca della Polonia, dunque, la guerra mondiale giunge al suo epilogo (il Giappone invece si arrenderà solo in settembre, dopo lo sgancio di due bombe atomiche da parte degli americani).
In Italia, l’ultimo inverno di guerra è terribile. Gli Alleati sono bloccati sulla Linea Gotica, che taglia la penisola da est a ovest all’altezza della Toscana, mentre le atrocit{ dei nazisti ai danni della popolazione civile si moltiplicano. Solo all’inizio della primavera il generale Alexander lancia l’offensiva finale: il 21 aprile gli anglo-americani entrano a Bologna e si aprono definitivamente la strada verso la valle del Po. Le bande partigiane, contemporaneamente, attaccano le città ancora occupate, dove la popolazione civile insorge contro i nazisti e i fascisti. Entro il 25 aprile i centri maggiori (Milano, Bologna, Genova, Venezia) sono liberati, alcuni giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate.
L’ultimo atto del fascismo è il tentativo di fuga prima e la fucilazione poi di Benito Mussolini. All’inizio dell’insurrezione di Milano il dittatore è ancora in città e, di fronte al precipitare degli eventi, tenta di concordare col Comitato di Liberazione Nazionale una resa onorevole. I dirigenti del Cln-Ai però sono irremovibili nel pretendere la resa senza condizioni. Mussolini allora decide la fuga, travestito da soldato tedesco e sotto la scorta delle SS, verso la Svizzera (col progetto di riparare poi in Spagna, ancora governata dal generale Franco). Giunto nei pressi della frontiera, però, a causa delle difficoltà di superare il confine, il gruppo si unisce a un distaccamento tedesco in ritirata. A Dongo il dittatore è riconosciuto e catturato da un gruppo di partigiani.
La ricostruzione dettagliata delle ultime ore di vita del duce dopo la cattura e le circostanze della sua esecuzione sono tutt’oggi al centro di un fitto dibattito storiografico e ancora non è stata fatta piena luce su molti dettagli. Secondo la versione ufficiale egli è subito fucilato per ordine del Cln-Ai, insieme all’amante Claretta Petacci che l’ha seguito nella fuga. Il 29 aprile i loro corpi sono esposti, insieme a quelli di altri gerarchi, in Piazzale Loreto a Milano, appesi a testa in giù alla tettoia di un distributore di benzina (nello stesso luogo dove in precedenza erano stati ammucchiati i cadaveri di 15 partigiani).
Nei giorni seguenti avvengono varie esecuzioni sommarie e si consumano molte vendette contro "repubblichini" e collaborazionisti, ritenuti autori o complici delle violenze commesse negli anni dell’occupazione. Si conclude così, con questo tragico epilogo, un periodo caratterizzato da venti anni di dittatura fascista e da cinque anni di guerra.
Le alleanze del territorio d'Italia e del suo popolo con l'Inghilterra e gli inglesi sono antiche, profonde e varie. La fortuna di molti dei nostri nordici li condusse in un modo o nell'altro in questo paese meridionale e li abituò alla propria eredità classica. Questa tradizione di viaggi e soggiorni erano precedentemente legati con la ricreazione e gli inseguimenti e gli studi dei tempi di pace. Nella prima metà del XX secolo quest’andamento della vita fu interrotto, e per la prima volta divenne la prassi dei britannici comparire in Italia come combattenti. Che poi si realizzò, attraverso il Regno, in una serie di battaglie e i luoghi dove avvennero tutte queste battaglie oggi sono presenti i cimiteri del Commonwealth.
Al fine che la natura e il significato pieno di questi cimiteri dispersi possa essere più facilmente compreso, una cronaca succinta della guerra in Italia dal punto di vista delle forze del Commonwealth è presente qui. Essa ci ricorda la contesa, ostinata ed intensa per le posizioni chiave, e come queste si alternavano con marce e movimenti su larga scala.
Roma fu presa dagli Alleati il 6 giugno 1944, ma la campagna italiana durò undici mesi in più. Quelli che morirono in Italia durante questi mesi sono sepolti in 26 cimiteri di guerra nel centro e nel nord Italia. I cimiteri, in base alla loro ubicazione, mostrano il corso della campagna. A nord di Roma, il primo che troviamo è il Cimitero di Guerra di Bolsena, poi quello di Orvieto cimitero e infine quello di Assisi, nei pressi della zona del primo arresto effettuato dai tedeschi dopo la loro ritirata da Roma.
Più a nord, i cimiteri di guerra di Arezzo e Foiano della Chiana mostrano il posto in cui i tedeschi fecero un altro stand. Firenze, il centro della linea di Arno e il punto da cui partì la campagna invernale dell'Appennino, ha un cimitero di guerra, il Cimitero di Guerra di Firenze, nei pressi del fiume Arno. Sulle difficili rotte attraverso le montagne sono collocati il cimitero Sudafricano di Castiglione e quello della Valle del Santerno. Il progresso dell’Ottava Armata su per la costa adriatica è marcato da un cimitero ad Ancona, e poi da un gruppo di necropoli che vanno dalla provincia di Pesaro ad appena al di là di Ravenna: Cimitero di guerra di Montecchio, Gradara, Coriano, Rimini, Cesena, Meldola, Forlì e quello dell’esercito Indiano sempre di Forlì, Faenza, Ravenna, e quello Canadese di Villanova. Infine nella zona dello sfondamento nella primavera del 1945 si trovano i cimitero di guerra di Argenta e Bologna. Tra le città del nord, Milano, Genova e Padova hanno cimiteri di guerra, e uno anche a Udine, nel nord-est, non lontano da alcuni cimiteri di guerra del 1914-18.
Tutti questi cimiteri contengono sepolture riunite in essi da una notevole area di battaglia, alcuni, tuttavia, furono proprio cimiteri di campi di battaglia e sono il cimitero di Argenta, cimitero Sudafricano di Castiglione, Foiano della Chiana, Meldola, Montecchio, Valle del Santerno, Ravenna, cimitero Canadese di Villanova ed infine quello di Orvieto.
Campagna D’Italia Della Seconda Guerra Mondiale
Dopo avere occupato nel giugno del 1943 Pantelleria e Lampedusa, il 10 luglio tre divisioni americane, una canadese e tre inglesi sbarcarono in Sicilia.
La notte del 9 luglio la 7a armata statunitense, al comando del gen. George S. Patton, e l'ottava armata inglese del gen. Bernard Law Montgomery, a bordo di circa 3000 natanti, salpano dai porti della Tunisia alla volta della Sicilia (le due armate fanno parte del XV Gruppo di armate comandato dal gen. Alexander). La difesa della Sicilia è affidata alla 6a armata italiana del gen. Alfredo Guzzoni, in cui militano agguerriti contingenti tedeschi di rinforzo. Nella notte truppe aviotrasportate sono lanciate sulle zone sud- orientali dell’isola in cui è previsto lo sbarco anglo-americano, ma il vento impetuoso (che raggiunge forza 7), la scarsa visibilità e la poca esperienza di lanci notturni rendono davvero inutile questo primo tentativo di attacco aviotrasportato. 13400 paracadutisti del colonnello americano James M. Gavin comandante l’ottantaduesima divisione aviotrasportata, finiscono con il disperdersi su un’area vastissima rendendo scarsamente efficace l’intervento. Intanto la navigazione delle unità che trasportano le forze da sbarco prosegue tra gravi difficoltà: il vento impetuoso e il mare agitato mettono a dura prova i fanti alleati.
Alle prime luci dell’alba del 10 luglio, inizia lo sbarco alleato sull’isola (operazione “Husky”): 160.000 uomini con 600 carri armati mettono piede sulla costa sud-orientale della Sicilia, gli americani della 7a armata nel Golfo di Cela (tra Licata e Scoglitti), gli inglesi dell’ottava armata di Montgomery nel Golfo di Siracusa, tra il capoluogo e Pachino. Gli sbarchi avvengono senza troppe difficoltà grazie al preciso e intenso fuoco di copertura delle navi e perché i difensori non si aspettano uno sbarco in quelle condizioni meteorologiche (in effetti, non meno di 200 mezzi da trasporto sono messi fuori combattimento per effetto della violenta risacca): durante le operazioni, caccia anglo-americani decollati da Malta e Pantelleria sorvolano in formazione i punti dello sbarco per respingere eventuali contrattacchi dell’Asse. Mentre l’ottava armata inglese non trova praticamente resistenza e i suoi reparti nella notte entrano a Siracusa, gli americani della 1° divisione e i Rangers, una volta conquistata Gela, devono affrontare i vigorosi contrattacchi della divisione tedesca Hermann Goring e della italiana Livorno. Gli scontri termineranno solo alle quattordici del 12 luglio, con la ritirata degli italo-tedeschi. Alla fine gli americani catturano 18.000 prigionieri ma perdono, tra morti e feriti, un migliaio di uomini.
La conquista della Sicilia da parte degli Alleati sarà completata in trentanove giorni, il 17 agosto del 1943, con l'occupazione di Messina e la ritirata delle truppe italo-tedesche in Calabria.
8 settembre 1943, una data fatidica per l'Italia. La data dell'annuncio dell'armistizio con gli Alleati e della fine dell'alleanza militare con la Germania, ma anche la data della dissoluzione dell'esercito italiano e della cattura di centinaia di migliaia di militari, a causa della mancanza di precise disposizioni da parte dei Comandi militari. La data dei primi episodi di Resistenza contro i tedeschi (a Roma, a Cefalonia, a Corfù, in Corsica, nell'isola di Lero), ma anche la data della frettolosa fuga del Re e dei membri del governo Badoglio a Brindisi (senza un piano di emergenza e senza disposizioni ai militari), che però servì ad assicurare la continuità dello Stato italiano nelle regioni liberate del Sud. Sempre l’8 settembre, una poderosa forza navale alleata puntava minacciosa verso il golfo salernitano. Salerno, quel giorno, era stata colpita dall'ennesimo bombardamento. Da molte settimane subiva continue incursioni aeree ed era ormai ridotta a un cumulo di rovine.
La gente bivaccava nelle gallerie e nelle cantine, affamata e senza speranza. Improvvisamente, alle 19,45, anche fra la popolazione di Salerno giunse la voce del maresciallo Badoglio che annunciava l'armistizio. La guerra era dunque finita? La gente pensò che fosse così e usci dai rifugi. L'illusione durò poco: la comparsa delle navi all'orizzonte spinse i salernitani a rintanarsi di nuovo.
A bordo delle 463 unità che erano salpate dai porti dell'Algeria e della Sicilia i 100.000 soldati inglesi e i 70.000 americani che componevano il corpo da sbarco affidato al comando del generale americano Mark Clark vivevano le ore di tensione che sempre precedono l'inizio delle operazioni.
Tutti a bordo, compresi gli ufficiali, erano completamente all'oscuro di quanto era accaduto in quei giorni. Ignoravano che l'armistizio con l'Italia era stato segretamente firmato il 3 settembre, e ignoravano che sarebbe stato reso pubblico entro poche ore. Erano tutti convinti che lo sbarco abbia incontrato la tenace resistenza degli italiani e dei tedeschi. Tutto a un tratto però la tensione che regnava a bordo fu infranta da una comunicazione radiofonica. Alle 18,30, mentre l’operazione "Avalanche” è in pieno svolgimento con i convogli alleati in vista di Salerno (da una settimana la costa campana è sottoposta a intensi attacchi in preparazione dell’invasione), da Algeri il gen. Eisenhower comunica la notizia dell’armistizio intervenuto tra gli Alleati e gli italiani. Ecco il testo del breve annuncio: "Qui è il Generale Eisenhower. Il governo italiano si è arreso incondizionatamente a queste forze armate. Le ostilità tra le forze armate delle Nazioni Unite e quelle dell’Italia cessano all’istante. Tutti gli italiani che ci aiuteranno a cacciare il tedesco aggressore dal suolo italiano avranno l’assistenza e l’appoggio delle nazioni alleate”.
Un analogo annuncio è fatto alla radio italiana alle 19,45 dal capo del governo maresciallo Pietro Badoglio. Il messaggio al popolo italiano così si conclude: “...Esse [le forze armate italiane] però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”.
La notizia, del tutto inattesa, provocò grandi manifestazioni di gioia. I soldati esultanti ballavano sui ponti. La guerra con l'Italia era finita! Nessuno pensava più ai pericoli. Tutti erano convinti che, invece di una battaglia, a Salerno ci sarebbe stata ad attenderli una folla in festa. Alle 3,30 di mattina del 9 settembre il gen. Mark Clark diede il via all’operazione “Avalanche”.
La prima divisione aerotrasportata s’impadronì di Taranto senza incontrare resistenza. Intanto 55.000 uomini delle truppe anglo-americane sbarcarono nel Golfo di Salerno, coperti da una forza navale che disponeva complessivamente di 4 corazzate, 7 portaerei, 11 incrociatori e alcune decine di caccia, oltre ad unità di scorta e minori. I soldati presero terra con relativa facilità e senza contrasti, ma improvvisamente, con loro grande sorpresa, incontrarono la reazione tedesca.
Nelle quarantotto ore seguite allo sbarco, gli Alleati riuscirono a travolgere le difese germaniche e a spingersi verso l'interno. La resistenza tedesca era stata debole, il generale Clark poteva essere soddisfatto. Il suo ottimismo forse eccessivo riguardo allo sbarco ora si rafforzava perché gli avvenimenti sembravano giustificarlo. Le navi potevano tranquillamente scaricare carri armati e automezzi. I rinforzi riuscivano ad affluire regolarmente sulla spiaggia.
Intanto l'artiglieria tedesca taceva e la Luftwaffe sembrava essere scomparsa. Proseguendo l'avanzata, gli Alleati occuparono l'aeroporto di Montecorvino e badarono a riattivare la pista. La battaglia sembrava ormai vinta. I tedeschi si ritiravano o si arrendevano. A tre giorni dallo sbarco gli Alleati controllavano una testa di ponte lunga 100 chilometri e profonda 10. Improvvisamente però, la mattina del 12 settembre, la situazione registrò un drammatico mutamento: i tedeschi scatenarono il contrattacco. Truppe fresche e bene armate attaccarono di sorpresa il settore Nord travolgendo i presidi dei commando britannici. Poche ore dopo, la controffensiva, condotta con estrema violenza, si estese a tutto l'arco del fronte. Le truppe tedesche giunte di rinforzo erano le divisioni che Kesselring era stato costretto a trattenere a Roma in vista di un secondo sbarco e per superare l'accanita, ma non coordinata resistenza delle truppe italiane a Porta S. Paolo. Ora che si era assicurato il completo controllo della capitale italiana, poteva scaraventarle contro le truppe alleate.
Sotto l'urto delle forze tedesche, l'intero schieramento anglo-americano vacillò. La ritirata fu generale. Molti reparti si sbandarono. Molti prigionieri furono catturati. Posizioni strategiche importanti come Battipaglia e Altavilla furono riconquistate. Durante questa controffensiva i tedeschi si sentirono molto vicini alla vittoria. Intanto la situazione si era fatta disperata. Il generale Clark aveva ormai perduto il suo ottimismo, e insistette per l'invio di rinforzi. A questo punto, per contrastare l'avanzata tedesca fu deciso l'impiego della divisione paracadutisti Airborne. Si trattavano di paracadutisti americani che dovevano essere lanciati su Roma. Rimasti inoperosi all'aeroporto di Licata, essi furono ora lanciati nelle retrovie per colpire e disorganizzare i movimenti del nemico. Neppure l'intervento dei paracadutisti modificò la situazione: i tedeschi continuarono vittoriosamente l'avanzata e le loro avanguardie giunsero in vista del mare. Fu a questo punto che il maresciallo Alexander, comandante in capo delle forze alleate del Mediterraneo, decise di risolvere la drammatica situazione ordinando l'intervento della squadra navale. Per la prima volta la marina fu impegnata in una battaglia campale. Il 14 settembre una potente squadra da battaglia lasciò Malta diretta verso Salerno. Ne facevano parte anche le corazzate Warspite, Valiant, Nelson e Rodneu armate con cannoni da 381 mm. Contemporaneamente, stormi di bombardieri pesanti furono lanciati sulla costa salernitana a seminare rovina e distruzione nelle retrovie tedesche.
Quest’attacco segnò l'inizio della controffensiva alleata. I danni furono enormi. Anche per la popolazione civile che da una settimana si trovava costretta a vivere in prima linea. Ai fini della battaglia fu soprattutto decisivo il bombardamento navale. Spingendosi quasi al limitare della costa, le navi assolsero il compito che normalmente compete alle artiglierie. Il loro tiro era estremamente preciso. Le loro bordate distrussero ora postazioni tedesche, ora interi centri di abitazioni civili. Una vera valanga di fuoco si abbatté sul Salernitano. Grazie a un nuovo sistema di segnalazione, le truppe alleate potevano chiedere direttamente l'appoggio dell'artiglieria navale come se si trattasse di batterie terrestri. Le postazioni tedesche furono centrate a una a una.
Due giorni dopo, il 16, Kesselring ordinò alle sue truppe di ritirarsi verso nord «per sottrarsi all'efficace bombardamento da parte delle navi da guerra». Per gli anglo-americani la via di Napoli era aperta. «Se a Salerno» commenterà Alexander a operazione conclusa «la marina e l'esercito non avessero potuto disporre della superiorità, lo sbarco sarebbe fallito.» Avalanche fu dal punto di vista militare un successo, anche se politicamente e strategicamente non raggiunse gli obiettivi che erano stati prefissati, ossia l'immediata liberazione di Napoli e la rapida avanzata su Roma. Per liberare Roma occorrerà aspettare circa nove mesi e per percorrere i 54 km che dividono Salerno da Napoli, gli Alleati impiegheranno ventidue giorni.
Che il Volturno fosse un passaggio decisivo nella campagna d'Italia era ben chiaro agli estensori dell'Operazione "Avalanche" o sbarco di Salerno. Infatti, caduta l'ipotesi dello sbarco nella piana del Volturno, il Comando alleato aveva deciso di lanciare, contemporaneamente allo sbarco di Salerno, l'ottantaduesima Divisione aviotrasportata statunitense lungo il Volturno con il compito di distruggere tutti i ponti da Capua al mare e impedire così l'invio di rinforzi tedeschi verso Salerno.
Il Generale Castellano, negoziatore dell'armistizio per conto di Badoglio, preoccupato "che i tedeschi occupassero Roma e catturassero la famiglia reale ed i membri del governo" (Blumenson), chiese invece che il lancio della 82a Divisione paracadutisti avvenisse nei pressi di Roma. Era così ipotizzato dal Comando alleato un piano battezzato "Giant Two". Però "questa operazione poteva riuscire alla sola assoluta condizione che le truppe italiane, acquartierate nella capitale e nelle sue immediate vicinanze, si unissero con cronometrica puntualità (nel testo: sur l'heure) ai paracadutisti alleati nello scontro con i tedeschi". La delicatezza dell'operazione consigliò il Comando alleato di effettuare una verifica sul campo. Il Generale Taylor e il Colonnello Gardiner furono così inviati in missione segreta a Roma e "costatarono che la realtà era del tutto diversa dal quadro disegnato dal generale Castellano". L'esercito italiano, essi costatarono, si era persino lasciato "requisire (dal comando tedesco) le munizioni e i depositi di benzina... era dunque illusorio contare su un minimo appoggio delle unità italiane"'. Sull'altare dell’incolumità dei Savoia era così sacrificata la liberazione di Roma. E così la liberazione della Penisola divenne più lenta e cruenta. Sulla più valida utilizzazione del Volturno nelle rispettive strategie discutono tedeschi e alleati. Ed è proprio all'arrivo sul Volturno, il 7 ottobre, che gli alleati hanno la conferma che nella campagna d'Italia i tedeschi non si sarebbero limitati ad una "azione ritardatrice".
Kesselring inizia l'elaborazione di vari piani, da rendere esecutivi secondo l'evolversi della situazione, già a fine agosto del 1943, secondo le indicazioni di Hitler che, ricevendolo il 23 agosto a Rastenburg, lo aveva invitato a "prepararsi a fronteggiare i peggiori eventi". E già il 10 settembre era deciso a resistere su una linea (la famosa linea Reinhard) che aveva il suo centro su Monte Mignano oppure su una linea che andasse dal Garigliano a Cassino e che poi chiamò Gustav. E nella realizzazione di quel piano ha ricevuto un decisivo contributo sia dal generale Vietingoff che diresse le operazioni di ritirata da Salerno in modo magistrale e sia dalla avanzata degli alleati talmente lenta da sbalordire lo stesso Kesselring.
Il Volturno, dunque, diviene il punto decisivo per la realizzazione dell'intero piano tedesco. Il Volturno ha però un'importanza non inferiore nel piano elaborato dagli alleati per raggiungere gli obiettivi previsti dallo sbarco di Salerno: avere a disposizione il porto di Napoli e gli aeroporti della Campania, necessari per la campagna d'Italia.
Già il giorno 5 ottobre alcuni reparti della 23a Brigata corazzata avevano raggiunto il Volturno, ma il 6° Corpo d'Armata americano ed il 10° Corpo d'Armata britannico raggiungono le posizioni loro assegnate lungo il fiume solo la mattina del 7. Esse si trovano di fronte "una barriera impenetrabile" lungo il fiume resa più aspra dalle caratteristiche del terreno sia pianeggiante sia collinare. Nella zona interna strade strette e con tornanti, colline irte e rapidi torrenti consentono una facile difesa e una difficile azione offensiva. Per aggirare tutti questi ostacoli il Comando alleato aveva anche ipotizzato attacchi anfibi e operazioni aviotrasportate ma numerose appaiono subito le difficoltà di attuazione, dalla scarsa disponibilità di uomini e mezzi. Si aggiunge la pessima situazione atmosferica: i continui temporali rendono ancora più difficile la realizzazione delle varie ipotesi, anche se gli alleati sono consapevoli che il tempo non gioca a loro favore.
Il 9 ottobre il Generale Clark elabora un nuovo piano. Esso prevede un attacco coordinato che si estenda lungo tutto il corso del Volturno, da realizzarsi contemporaneamente durante la notte del 12 ottobre, in modo da tener divise le forze nemiche e da realizzare il maggior numero possibile di attraversamenti del fiume. L'obiettivo è di raggiungere quella che gli alleati indicano ormai la "linea d'inverno", che avrebbe garantito la sicurezza delle retrovie intorno a Napoli.
La decisione di un attacco simultaneo lungo tutto il corso del Volturno è stata ritenuta dai tedeschi la ragione del successo della V Armata sul Volturno. Si legge infatti, in un documento del X Corps tedesco, che il passaggio del Volturno fu più rapido del previsto perché il nemico abbandonò la tattica fino allora seguita, quella cioè di percorrere le direttici delle grandi strade di comunicazione, e scelse invece di penetrare "attraverso colline scabrose e regioni cespugliose", minacciando così alcuni nuclei tedeschi di rimanere accerchiati. Tale preoccupazione determina grande incertezza tra le truppe tedesche e proprio questa preoccupazione spinge i reparti tedeschi ad abbandonare le proprie posizioni.
Non va sottovalutata, per l'esito della battaglia del Volturno, l'azione condotta con successo dalla 45a Divisione americana comandata dal Generale Middleton. Proveniente da Benevento, attraverso la valle del Calore, il 13 ottobre reparti di questa Divisione strappa ai tedeschi il Monte Acero, "caposaldo della linea di difesa tedesca sul Volturno", impegnando per le intere giornate del 12 e del 13 forze che avrebbero potuto essere spostate là dove le truppe americane stavano forzando il passaggio principale.
Sulle quindici miglia del corso del fiume, da Triflisco alla confluenza del Calore nel Volturno, il Generale Lucas aveva schierato due Divisioni: la 3a e la 34a.
L'inizio dell'azione spettava alla 3a Divisione che si trovava di fronte due gruppi collinari: la cima di Triflisco e la forca Caruso. Sulla destra di quest'ultimo, sollevandosi dalla pianura, vi sono due colline solitarie, Monticello e Mesorinolo, dalle quali poteva partire un attacco al fianco destro delle avanguardie. L'obiettivo più ovvio era certo la cima di Triflisco, che avrebbe aiutato anche le truppe britanniche a superare il Volturno nella zona di Capua. Il Generale Truscott, al Comando della 3a Divisione, decide di programmare invece un attacco finto nella direzione di Triflisco, mentre concentra lo sforzo dei suoi Battaglioni direttamente su forca Caruso, cercando di coprirsi però sulla sua destra. E, per nascondere il vero obiettivo, tiene nascosta l'artiglieria, utilizzandone solo una parte.
Il I Battaglione del XV Fanteria, sostenuto dalle armi pesanti del XXX Fanteria, doveva fingere l'assalto sulla cima di Triflisco, mentre il II Battaglione del XXX Fanteria doveva prepararsi ad attraversare il fiume qualora si fossero registrati cedimenti nello schieramento tedesco. Il VII Fanteria intanto, coperto da una cortina fumogena, doveva passare il fiume al centro della pianura puntando concretamente su Monte Caruso. A destra due Battaglioni del XV Fanteria dovevano, superato il fiume, occupare Monticello e Monte Mesorinolo e, da lì, puntare, verso la cima orientale del Caruso. La 34a Divisione proveniente da Montesarchio doveva garantire il fianco.
A mezzanotte del 12 ottobre ha inizio la finta operazione di attacco su Triflisco. Alle 0,55 del 13 l'Artiglieria della Divisione inizia un bombardamento su tutta la linea del fronte ad essa assegnato, mischiando agli esplosivi proiettili fumogeni per coprire l'intera zona dal chiarore della luna piena. In tal modo i soldati tedeschi, pur consapevoli che quella notte ci sarebbe stato il tentativo di superamento del fiume, non sarebbero riusciti a individuare dove esso sarebbe avvenuto. Alle due gli uomini del VII Fanteria iniziano il guado del fiume per ancorare le funi di guida sull'argine Nord.
È, una dura battaglia anche contro il clima avverso. Le piogge torrenziali dei giorni precedenti hanno reso fangosi e sdrucciolevoli gli argini. La corrente rende molto difficile il controllo delle imbarcazioni leggere. Le radici degli alberi, indebolite dal maltempo, non reggono le funi di guida. Il passaggio del fiume procede perciò con eccessiva lentezza. L'ultimo battello americano è colpito in pieno dall’Artiglieria tedesca che, con le prime luci dell'alba, riesce finalmente a individuare la zona del passaggio.
Utilizzando la protezione dell'alveo di un piccolo tributario del Volturno, gli uomini del I Battaglione raggiungono la Statale 87. Qui costituiscono un punto di fuoco per permettere agli altri due Battaglioni impegnati nell'azione di affrontare la conquista del Caruso. Alle otto è ordinato ancora fuoco di artiglieria sulle pendici, e alle 12 le avanguardie americane sono già sulla cima occidentale del monte, mentre gli uomini del II e del III Battaglione consolidano il possesso del terreno conquistato.
L'intercettazione di un messaggio tedesco che annuncia l'organizzazione di un contrattacco imminente fa accelerare il passaggio dei mezzi corazzati oltre il fiume. Il terreno, là dove le ruspe non avevano potuto, viene spalato a mano dai genieri. Così, poco dopo le undici, il primo carro armato americano si arrampica sull'argine Nord del fiume.
Nel pomeriggio anche la parte orientale di Forca Caruso è conquistata e di lì si avvia la pressione sulla cima di Triflisco ancora nelle mani dei tedeschi. Due tentativi di attraversamento del fiume, dalle colline del Tifata, falliscono. Quando però, durante la notte del 13, le avanguardie del XXX Fanteria attraversano il fiume e cominciano a salire la collina, si accorgono che i tedeschi si erano già ritirati.
Per il Generale tedesco Vietingoff "l'attacco programmato magistralmente ed eseguito con determinazione" dalla III Divisione americana è stata "l'azione chiave" della battaglia del Volturno.
Lo sbarco ad Anzio rappresentava la soluzione strategica per sbloccare l'impasse di Cassino e raggiungere al più presto Roma. La manovra strategica doveva essere condotta dal Gruppo di Armate. L'ottava Armata Britannica doveva attaccare e avanzare sul versante adriatico; la Quinta Armata doveva attaccare il fronte di Cassino per fissare le forze tedesche in linea e impegnare le riserve. In contemporanea il VI Corpo d'Armata USA, posto al Comando del gen. John Lucas, doveva sbarcare ad Anzio. Presa terra, sfruttando la sorpresa, doveva avanzare rapidamente verso l'interno e doveva tagliare le linee di alimentazione tedesche tra Roma e Cassino, isolando e quindi costringendo alla resa o alla ritirata la 10a Armata Tedesca. Qualsiasi risultato fosse stato conseguito sicuramente gli Alleati si sarebbero trovati a sud di Roma e soprattutto sganciati dalle posizioni di Cassino, e quindi abbandonare la guerra di posizione e iniziare quella di movimento, dove la loro superiorità logistica avrebbe fatto sentire tutto il suo peso. L'operazione, denominata "Shingle" fu un totale fallimento. Il 22 gennaio iniziarono ad Anzio e Nettuno e nelle prime dodici ore furono sbarcati cinquanta mila uomini con tutto il loro equipaggiamento.
Ad Anzio fu un fallimento. Lo sbarco tatticamente riuscì: nella prima giornata furono sbarcati oltre 36.000 uomini e 18.000 autoveicoli ruotati e cingolati.
La sorpresa per i tedeschi fu totale. La decisione del Gen. Lucas di attendere rinforzi e trincerarsi sulle spiagge permise però ai tedeschi di reagire e bloccare gli alleati in una testa di ponte profonda solo 11 km e larga 24.
Lucas anziché puntare all'interno si trincerò sulle spiagge (si impose la sindrome di Salerno). Non si arrischiò neppure di tentare una ricognizione in forze. I tedeschi colti completamente di sorpresa reagirono con estremo vigore. Misero in piedi una 14a Armata, posta al Comando di Hans Georg von Mackensen. Inizialmente riuscì a contenere le forze di Lucas, poi, organizzatisi, riuscì a incapsulare le forze sulla testa di ponte. Il 3 febbraio i tedeschi sferrarono un primo contrattacco, cui seguirono altri attacchi per tutto il mese di febbraio. Il 16 febbraio 1944 (il giorno prima gli Alleati bombardarono l'Abbazia di Montecassino) von Mackensen addirittura riuscì a lanciare un contrattacco che si protrasse fino al 19 febbraio e fu sul punto di ricacciare le forze alleate in mare.
Il 23 febbraio Lucas veniva rimpiazzato dal gen. Truscott ma ormai la situazione operativa era compromessa e non più 16
risolvibile in breve tempo. Fino a maggio, le forze contrapposte, in stallo, si fronteggiarono senza incidere sul quadro strategico. Occorrerà conquistare Cassino, per sbloccare la situazione, assurda dal punto di vista tattico per gli Alleati, di Anzio.
Per conquistare Cassino gli alleati sferrarono tre battaglie, dal 15 gennaio al 10 maggio 1944, di cui solo l'ultima ebbe successo. Le prime due furono una somma di errori e d’incertezze che costarono, portarono a fallimenti e delusioni, in cui la capacità e la professionalità dei comandanti alleati ne escono con molti dubbi e ombre. Al termine della seconda fase della battaglia (25 marzo) la città di Cassino era ridotta a un cumulo di macerie, non rimaneva nulla della sua vecchia fisionomia. Solo dopo la terza fase della battaglia (maggio 1944), con numerose perdite dall'una e dall'altra parte, gli Alleati riuscirono a impadronirsi della zona segnando la fine di un incubo. Il 25 maggio le truppe provenienti da Cassino si incontrarono presso Littoria con quelle sbarcate ad Anzio e il 4 giugno entrarono in Roma.
La parola “segreta” era "Elefante". Questa volta, a differenza dai tempi dell’invasione cartaginese, l’elefante non arrivava come nemico. Significava che gli alleati stavano per liberare Roma. L’elefante amico. La radio alleata trasmise la parola "elefante" alle 23,15 del 3 giugno 1944. Le retroguardie tedesche lasciarono Roma la mattina del 4 giugno, mentre gli ultimi prigionieri di via Tasso erano liberati dalla popolazione e la palazzina del boia Kappler era saccheggiata. L’esercito di Clark inondò Roma nelle prime ore del pomeriggio incontrando le prime folle festanti nelle periferie della via Prenestina, della via Casilina, della via Appia, e nelle borgate di Tor Pignattara e Centocelle, dove i fascisti e i tedeschi nelle ultime settimane non avevano osato più passare né di giorno né di notte per paura dei partigiani.
I sentimenti di un popolo che aveva vissuto una terribile notte durata nove mesi non erano molto diversi da quelli dei soldati che dall’inverno avevano sostenuto durissime battaglie sui fronti di Cassino e di Anzio. Solo negli ultimi ventitré giorni, la quinta e la settima armata erano riuscite a scardinare la linea Gustav, si erano aperte, attraverso i monti Aurunci, la strada per i 17
Castelli Romani, e unendosi alle truppe sbarcate quattro mesi prima ad Anzio, avevano dato l’ultima spallata al generale Kesselring, che, annidato nelle caverne del monte Soratte, inviava al macello i suoi battaglioni. Roma, la prima capitale europea liberata, era un simbolo per i soldati alleati come lo era per tutti gli italiani.
Il 25 aprile 1945 i partigiani liberano Milano dall’occupazione dei nazisti e dai fascisti. Anche la popolazione civile insorge e vaste zone dell’Italia settentrionale - e molte città - sono liberate prima dell’arrivo delle truppe anglo-americane che, dopo aver superato l’ultimo ostacolo della Linea Gotica in Toscana, incalzano le truppe tedesche in ritirata nella pianura Padana. In Europa, intanto, l’Armata Rossa sovietica dilaga in territorio tedesco e giunge alle porte di Berlino mentre gli anglo-americani, dopo lo sbarco in Normandia, avanzano attraverso il Belgio; Hitler, di fronte alla disfatta, si toglie la vita nel suo bunker. Più di cinque anni dopo l’invasione tedesca della Polonia, dunque, la guerra mondiale giunge al suo epilogo (il Giappone invece si arrenderà solo in settembre, dopo lo sgancio di due bombe atomiche da parte degli americani).
In Italia, l’ultimo inverno di guerra è terribile. Gli Alleati sono bloccati sulla Linea Gotica, che taglia la penisola da est a ovest all’altezza della Toscana, mentre le atrocit{ dei nazisti ai danni della popolazione civile si moltiplicano. Solo all’inizio della primavera il generale Alexander lancia l’offensiva finale: il 21 aprile gli anglo-americani entrano a Bologna e si aprono definitivamente la strada verso la valle del Po. Le bande partigiane, contemporaneamente, attaccano le città ancora occupate, dove la popolazione civile insorge contro i nazisti e i fascisti. Entro il 25 aprile i centri maggiori (Milano, Bologna, Genova, Venezia) sono liberati, alcuni giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate.
L’ultimo atto del fascismo è il tentativo di fuga prima e la fucilazione poi di Benito Mussolini. All’inizio dell’insurrezione di Milano il dittatore è ancora in città e, di fronte al precipitare degli eventi, tenta di concordare col Comitato di Liberazione Nazionale una resa onorevole. I dirigenti del Cln-Ai però sono irremovibili nel pretendere la resa senza condizioni. Mussolini allora decide la fuga, travestito da soldato tedesco e sotto la scorta delle SS, verso la Svizzera (col progetto di riparare poi in Spagna, ancora governata dal generale Franco). Giunto nei pressi della frontiera, però, a causa delle difficoltà di superare il confine, il gruppo si unisce a un distaccamento tedesco in ritirata. A Dongo il dittatore è riconosciuto e catturato da un gruppo di partigiani.
La ricostruzione dettagliata delle ultime ore di vita del duce dopo la cattura e le circostanze della sua esecuzione sono tutt’oggi al centro di un fitto dibattito storiografico e ancora non è stata fatta piena luce su molti dettagli. Secondo la versione ufficiale egli è subito fucilato per ordine del Cln-Ai, insieme all’amante Claretta Petacci che l’ha seguito nella fuga. Il 29 aprile i loro corpi sono esposti, insieme a quelli di altri gerarchi, in Piazzale Loreto a Milano, appesi a testa in giù alla tettoia di un distributore di benzina (nello stesso luogo dove in precedenza erano stati ammucchiati i cadaveri di 15 partigiani).
Nei giorni seguenti avvengono varie esecuzioni sommarie e si consumano molte vendette contro "repubblichini" e collaborazionisti, ritenuti autori o complici delle violenze commesse negli anni dell’occupazione. Si conclude così, con questo tragico epilogo, un periodo caratterizzato da venti anni di dittatura fascista e da cinque anni di guerra.